Weltroni, se sapesse della mia esistenza, gioirebbe: sono l'incarnazione del suo "ma anche".
Detto questo, io adoro prendere posizioni precise ed evitare di fare il cerchiobottista: mica scrivo sul Corriere, io.
Vi spiego rapidamente il mio disagio: da qualche mese leggo con molto interesse i blog di due giornalisti, Francesco Costa e Alessandro Gilioli.
Sono due personaggi diversissimi: il primo è un membro dei famigerati "iMille" (sì, quelli che poi son diventati i Piombini, coi vari Scalfarotto/Alicata/Civati ecc ecc), iper-garantista. Il secondo è un giornalista de L'Espresso, iper-giustizialista.
Io mi trovo esattamente in mezzo tra le loro due visioni. Ok, diciamo che balzo con disinvoltura da un giacobinismo che scandalizzerebbe Travaglio a un'ascetica attesa del terzo grado di giudizio in versione "se non vedo (la sentenza) non credo" che farebbe invidia a San Tommaso. Da qui il mio problema. (Tenete a mente Costa e Gilioli, li recupero più avanti nel post.)
La pietra dello scandalo, ultimamente, si chiama Renato Schifani. Schifani, sì, quello che aveva il riportino in testa finchè Berlusconi non gli ha ordinato "tagliati 'sto riportino, stai meglio pelato" (e non sto scherzando).
Quello che, quando era capogruppo dei senatori di Forza Italia, coordinava i fischi e i cori vergognosi contro Rita Levi Montalcini, senatrice a vita del Governo Prodi (e anche contro Scalfaro, mi sa).
Quello che è stato fischiato (e accusato di essere mafioso) a Torino e che si è lamentato del fatto, dimenticandosi di essere stato il primo, in passato, a difendere le contestazioni a Prodi (due pesi e due misure, insomma).
Ora, l'unica cosa certa è che Schifani è
La questione riguarda il suo presunto sodalizio con Cosa Nostra.
Un conto sono le opinioni personali, un altro sono i fatti accertati penalmente rilevanti e le sentenze.
Per dire, se mi chiedete "ma TU, onestamente, dentro di te, pensi che Schifani abbia legami poco chiari con la Mafia?", io rispondo come fece una mia amica alla domanda "hai mai praticato sesso anale?": "Non rispondo". Insomma, ci siamo capiti, strizzatina d'occhio, e così via.
Nel caso specifico, Alessandro Gilioli e l'Espresso svelano che in passato Schifani difese un mafioso e che ce l'ha tenuto nascosto per 27 anni.
Francesco Costa fa un'obiezione sensata: dunque secondo quel ragionamento "una persona imputata o condannata per determinati reati non ha diritto ad avere un avvocato difensore? Oppure all’idea che il reato dell’imputato o condannato si estende automaticamente al suo avvocato, e quindi l’avvocato dell’imputato per truffa è un truffatore, quello dell’imputato per mafia è un mafioso, quello dell’imputato per corruzione è un corrotto, eccetera?"
Insomma: in uno stato di diritto anche un mafioso ha diritto a un avvocato. Questo rende l'avvocato mafioso di default? Insomma: riteniamo giusto che persino i mafiosi abbiano un avvocato? Ok, ma allora poi non possiamo trattarli (gli avvocati che riteniamo giusto esistano) come persone necessariamente disoneste o dalla condotta immorale.
Gilioli ribatte: un tizio che non è trasparente sul suo passato di avvocato di mafia non può ambire a cariche istituzionali.
Ma il punto è questo: essere stato "l'avvocato di una persona accusata di mafia/l'avvocato di un mafioso" è diverso da essere stato "avvocato di mafia".
Il termine "avvocato di mafia"/"avvocato della mafia" che Gilioli continua ad utilizzare ha un significato ben preciso, molto diverso da "un avvocato che ha difeso un mafioso". "Avvocato di mafia" è chi ha con la mafia un rapporto stretto, di collaborazione, che difende i mafiosi IN QUANTO mafiosi, perchè sono suoi sodali.
Gilioli, da bravo giornalista qual è, non può giocare con le parole in questo modo.
Schifani, da avvocato civilista, in un’occasione (quasi trent'anni fa) difese Giovanni Bontate (membro della famiglia Bontate, di cui faceva parte Stefano Bontate, boss mafioso dell'epoca) dal sequestro dei beni (legge Rognoni-Latorre). Ciò ne fa un'avvocato di mafia?
ATTENZIONE: non sto dicendo che non lo sia, dico che non è da questo che si può capirlo.
Marco Travaglio in passato ci fece notare come Schifani, nel 1979 entrò in società (Sicula Brokers) con un tizio che sarebbe stato poi arrestato per mafia. Sarebbe stato arrestato diciannove anni dopo, però.
Con questo che voglio dire? Che 19 anni prima, quando era in affari con Schifani, non era ancora mafioso?
Che, se pure fosse stato mafioso, Schifani non poteva saperlo e quindi è sicuramente innocente?
NO. Quel che voglio dire è che NON POSSIAMO SAPERLO CON CERTEZZA.
DOPPIO EPIC FAIL, inoltre, per Gilioli, che cerca di fare paragoni con la civile America ("un politico americano si sarebbe dimesso, nella stessa situazione!", dimenticando però che lì i pm sono eletti dal popolo, come volevano Ciancimino e Cosa Nostra. Inoltre, per dimostrare che non si parla di aspetti penali, ma di questioni di etica/morale/opportunità/trasparenza, ecco che partorisce la frase del mese:
"Hai presente quando in America, tipo, chiedono a un candidato presidente se si è mai fatto un spinello, se la domenica va in chiesa, se mangia carne di cavallo?"
Ecco. Io eviterei di fare paragoni simili, rimpiangendo di non trovarmi in un paese dove non posso candidarmi se mi piace la carne di cavallo e se la domenica non vado a messa. E dove fumarsi una canna è più grave che apprezzare la pena di morte.
Questo è quanto, gente. Ritengo Schifani un disprezzabile, abietto individuo, indegno di ricoprire la seconda carica dello Stato. Ma non è con scoop simili che ce lo toglieremo dalle palle.
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