Psicodramma
in 15 capitoli.
Dicono
che fa bene all’anima. Sarà. Una confessione, sì. La devo a me, la devo a voi.
Capitolo 1: Fino a qui tutto bene,
fino a qui tutto bene…
È
il 2009, mi trovo al Teatro Ambra Jovinelli. L’emiliano pelato che mastica
sigari si è appena candidato a fare il Segretario del Partito Democratico. Lo
ho imparato ad apprezzare in passato nei talk show televisivi, lo conoscevo già
per il decreto che portava il suo nome, una delle poche cose buone fatte da
quell’armata brancaleone che reggeva il secondo Governo Prodi.
Avevo
subìto oltre un anno di ministri ombra, di opposizione molle, di
democristianume bigotto spinto, di posizioni molteplici, contraddittorie e, nei
rari casi in cui fossero unitarie, vaghe.
Anche
chi aveva creduto a un partito più leggero aveva notato i limiti dell’era
veltroniana: il partito era diventato evanescente, inesistente, il giorno prima
del voto mancavano i gazebo da mettere in piazza, non c’era materiale da
volantinare, i circoli non riuscivano a pagare la luce, la gente per strada e
nelle piazze chiedeva al popolo del PD dove fosse finito e l’unica risposta che
gli si poteva dare era “su internet”. E ora invece si torna a parlare di un
partito dove i tesserati e militanti contano ed esistono. Luoghi dove fare
politica, presenza sul territorio, tra la gente. Bersani, il tipo che si
candida a segretario, dice inoltre che il suo ruolo non deve coincidere
necessariamente con quello del candidato premier. Condivido: metti che nel
frattempo arrivi uno più tagliato per la parte, tipo che so, un Vendola (eh sì,
avevo quest’infatuazione), perché no? Si sta finalmente dando una linea più chiara
e netta al PD, lo si sta spostando più a sinistra. Come posso essere contrario
a tutto ciò?
Applaudo
e sorrido, convintamente. Sono felice.
L’emiliano
vince alle primarie e diviene infine segretario. Iniziano i primi problemi, i
balbettii, specie sul tema della laicità: ricordo all’epoca la querelle del
crocifisso nei luoghi pubblici. Sia Bersani che uno dei suoi sfidanti, Marino,
avevano espresso posizioni laiche: il secondo un po’ di più, motivo per il
quale mi ero preso la libertà di votarlo al congresso, seppur non alle primarie.
Come incoraggiamento, diciamo.
Altro
problema è quello delle alleanze: recuperare un rapporto coi partiti alla
sinistra del PD, in particolare SEL, è una tattica che approvo. Apprezzo molto
meno il costante e ambiguo balletto con l’UDC, un partito chiaramente
inaffidabile e a cui si da un credito immeritato.
Sui
temi del lavoro, invece, nessun pentimento: le parole nette a difesa dei
diritti dei lavoratori della FIOM, la difesa dell’Articolo 18, tutte cose che ritengo
sacrosante. In tutto ciò, sia Rutelli che la Binetti abbandonano il PD:
evidente segno che Bersani sta lavorando bene. Questo mentre il gruppo
veltronian-margheritino ritiene che il partito sia più povero ora che
un’iscritta che ritiene l’omosessualità una malattia ha fatto le valigie.
Passa
il tempo, passano gli anni. Alti e bassi, sconfitte e vittorie, delusioni e
soddisfazioni, sfiducia e speranza. È la fine del 2010. Pare che il governo di
Berlusconi stia per cadere: alla fine si salva, grazie alle spaccature interne
al gruppo di centrodestra “moderato” su cui avevamo fatto affidamento fino ad
allora. Ma ancora una volta l’amor proprio viene meno, ancora una volta si
chiede l’appoggio dei “moderati” che mai come in questo momento hanno
dimostrato la propria inconsistenza e inaffidabilità, ancora una volta si
dimostra di aver paura di mettere in campo la propria leadership per il
centrosinistra, sfidando gli oppositori interni. Come Vendola, sì: nel corso
del tempo mi sono ricreduto su Bersani, ora ritengo che lui possa
effettivamente essere un leader credibile e autorevole, una sorta di nuovo
Prodi.
I
problemi, certo, ci sono ancora tutti: lo statuto veltroniano, quello che
incorona automaticamente il segretario come “candidato premier del PD”, non è
stato modificato di una virgola, nonostante si fosse giustamente criticato ai
tempi del congresso 2009: questa cosa la pagheremo nel 2012, quando ci sarà
tutto il casino per decidere se far partecipare o meno Renzi alle primarie. I
circoli hanno un po’ più di peso, ma non quanto si sperava: finanziamenti e
aiuti non arrivano, o almeno così pare a me. Diciamo che ci barcameniamo per
conto nostro, con autofinanziamento e lavoro dal basso, dal territorio. La
capacità di incidere sulle scelte dall’alto, comunque, è minima. Facciamo le
nostre battaglie, come quelle sull’acqua pubblica, prima ancora che il partito
nazionale stesso si muova in tal senso.
Infine
arrivano le prime vere vittorie, le prime speranze: è il 2011. La vittoria dei
quattro sì al referendum, la vittoria del centrosinistra alle amministrative
(Milano e Napoli in particolar modo), la riappacificazione del partito e dei
militanti (almeno una parte) con le bistrattate primarie, da me stesso
riabilitate (almeno per la scelta dei candidati a cariche elettive). Prodi in
piazza che abbraccia Bersani e lo incorona leader del centrosinistra. Sono
euforico. Mi sento parte di qualcosa di più grande, di un gruppo di persone
fantastico: qui ho degli amici, dei compagni, anche amori. Sono felice.
Capitolo 2: L’Era del Compromesso, la
fine dell’innocenza nella Giovanile
Fine
del 2011. Berlusconi è caduto. Degna conclusione di un anno pieno di
soddisfazioni. Esulto, mi sento svuotato, quasi non mi pare vero. Ma è una
vittoria dal sapore amaro. Il Caimano ha lasciato una scomoda eredità al
centrosinistra: cadendo, cade in piedi, sfilandosi con eleganza da un ruolo di
impopolarità su cui il centrosinistra, come al solito, ci metterà la faccia,
perdendola. L’Italia è in ginocchio, le pressioni dell’Europa sono sempre più
forti, e Bersani decide che non è il caso di andare al voto. E pronuncia una
frase storica, che col senno di poi si rivelerà crudelmente beffarda: “Non voglio vincere sulle macerie”. Arriva
un governo tecnico, il governo Monti imposto da Giorgio Napolitano, che come
linea principale ha quella di eseguire i diktat della famigerata lettera della
BCE: tagli, licenziamenti, privatizzazioni, aumento dell’età pensionabile. Con
il PD complice e principale difensore di queste politiche, in barba alla linea
seguita fino ad ora.
È
scacco matto: il PD diventa ufficialmente e definitivamente il partito della
“responsabilità”. È iniziata l’Era del Compromesso. L’era del Sottomesso
Storico. Il tutto tra gli applausi dei veltronian-renziani, che hanno cambiato
linea: non possono più evocare la società civile e le primarie, dato che sono
stati bocciati da esse più e più volte (anche nei referendum). Ora sperano di
riuscire a far passare la loro linea politico-economica tramite manovre di
palazzo e imposizioni dall’alto. E ci riescono, perché il PD beve l’amaro
calice: l’alleanza di centrosinistra sfuma, la famosa “foto di Vasto” (Bersani
con Di Pietro e Vendola) viene stracciata. È l’inizio della fine.
Il
2012 è un anno strano: un anno di travaglio, amarezze, rabbia. La riforma delle
pensioni, che contribuisce a generare il problema degli esodati. Il congresso
nazionale dei Giovani Democratici, per quanto riguarda i rapporti interni del
partito e della giovanile in cui milito, è un altro spartiacque. Rancori,
accuse, veleni. Rimango per un primo momento indeciso sulla strada da seguire.
Ho numerosi dubbi sulla gestione interna dei GD, in più livelli, grandi e
piccoli. Provo a ragionare con alcune persone su un modo diverso di lavorare.
Poi, torno sui miei passi, anche per il timore di essere strumentalizzato da
altre parti in causa, non più limpide di quella da cui vorrei disperatamente
smarcarmi. Mi viene detto di non preoccuparmi, mi viene detto che non sono un
codardo, dalle stesse persone che sto abbandonando per tornare dall’“usato
sicuro”. Forse hanno ragione, forse no. Tutto ciò che so è che comunque, giunti
a quel punto, la mia scelta è obbligata. Una scelta che serve a dare un segnale
al partito nazionale su quali siano le politiche economiche e sociali da
perseguire, una scelta che metta un freno alle idee neoliberiste che troppi, nel
partito, stanno appoggiando, ora che sono al riparo sotto l’ombrello di Monti.
E alla fine il dado è tratto. E, almeno per quello, non me ne pento. Alcune
persone abbandoneranno la giovanile. Altre ancora resteranno, ma sarà come se
non ci fossero più: spariti, scomparsi, morti che camminano. Un anno dopo,
alcuni di coloro che hanno abbandonato la giovanile del mio circolo torneranno
a collaborare con noi: questo mi darà speranza. La conferma che alcuni amici,
alcuni compagni non spariranno mai del tutto: che se si lavora bene, se le idee
riescono ad essere convincenti, si riuscirà lo stesso a stare dalla stessa
parte. Ma oggi è marzo del 2012, e questo ancora non lo so. Nei GD Roma e
Nazionali si tornerà più volte a ridere e sorridere, ma mai come prima, sempre
con un velo di amarezza. Mi chiudo in me stesso. Ora conta solo la politica. La
battaglia giusta, quella per cui vale la pena scornarsi e litigare.
Capitolo 3: Mamma li Turchi!
È aprile, e viene introdotto il pareggio di
bilancio nella Costituzione Italiana. Un fatto gravissimo, senza precedenti. Ed
è stato fatto coi voti del PD. E nessuno ne parla. La mia luna di miele con
Bersani è scemata. Lo ritengo ancora il candidato più adatto e competente, ma
ritengo che debba essere indirizzato nella giusta via. Mi avvicino sempre più
al gruppo dei cosiddetti “giovani turchi”, Matteo Orfini e Stefano Fassina: gli
unici a dire le cose che il partito avrebbe dovuto dire da tempo, con maggiore
forza e autorevolezza, tra i pochi a criticare il modello Marchionne che va per
la maggiore, tra i pochi a non spellarsi le mani per la Fornero, tra i
pochissimi a criticare l’Agenda Monti. In quella fase li ritengo fra le ultime
speranze che il PD riesca a spostarsi definitivamente a sinistra, dalla parte
dei diritti dei lavoratori. A giugno nasce ufficialmente la componente “turca”,
che si chiama “Rifare l’Italia”. È presente anche Bersani, ma non per dare il
suo assenso: nel suo intervento conclusivo, difende le sue ragioni e critica
aspramente i due giovani turchi, le loro “idee
passatiste” e il loro “stucchevole
alzare il ditino”. Un muro tra le due posizioni, non solo generazionale.
Ed è emblematico pensare che il Segretario,
tecnicamente, dovrebbe avere le stesse posizioni dei due. Orfini e Fassina non
fanno parte dell’opposizione interna: sono rispettivamente il responsabile
cultura e il responsabile economia della segreteria bersaniana. Comincia sempre
di più a mostrarsi evidente l’ambiguità di fondo di Bersani: allo stesso tempo
vicino e lontano a loro, allo stesso tempo ne condivide la linea e la
disconosce. Un gioco delle parti, poiché la sua posizione è scomoda. Si tratta
di difendere l’indifendibile, in nome di una responsabilità di cui storicamente
la sinistra ha sempre e solo pagato il prezzo, senza peraltro riuscire mai a
migliorare sensibilmente le condizioni del Paese che voleva e doveva salvare.
Lo stesso mese, giugno 2012, la Riforma Fornero modifica l’Articolo 18 dello
Statuto dei Lavoratori. “Il PD lo ha
salvato l’articolo 18, non l’avete capito? Se non l’avessero modificato,
l’avrebbero proprio cancellato!”. Questo è quel che rispondo a tutte le
voci critiche. Questo è quel che continuo a ripetermi. Questo è quello che,
comunque, credo. O almeno mi auto-convinco di ciò. E si continua così,
attaccati sia dagli antibersaniani (che colpiscono Orfini e Fassina per colpire
Bersani), sia dai bersaniani doc, sia da quelli mezzo e mezzo (un po’ pro, un
po’ anti, a seconda di come gira il vento, o forse dalle posizioni più sfumate
se vogliamo dargli il beneficio del dubbio). Anche noi semplici giovani
militanti che non contiamo una ceppa ne paghiamo il prezzo: su Twitter,
addirittura l’allora Presidente del PD Roma (!!!) un altissimo dirigente
del PD Roma mi sfotte pubblicamente dicendomi che sono succube di Orfini e che
devo essere più “aperto”. Sempre lui, poco dopo, condividerà un tweet di
Giorgio Gori contenente un articolo di Morando e Ranieri sul Foglio dal titolo
inequivocabile: “Caro Fassina, we like
Monti”. Sempre lui, poi, a quanto pare appoggerà Bersani alle future
primarie contro Renzi. Sempre lui ha appoggiato Renzi alle ultime primarie:
quest’ultima scelta, a mio parere, è la più coerente con le sue idee politiche.
Il problema è l’incongruenza con le sue scelte passate: non me ne voglia Eu il tizio se l’ho citato come
esempio, mi serviva un caso “vicino”. Il fatto che anche i montiani del PD
abbiano appoggiato Bersani spiega bene l’ambiguità di Pier Luigi, che insisteva
a voler mediare tra posizioni inconciliabili.
Nel frattempo l’house
organ del renzismo (in tandem con IlPost.it), il giornale “Europa”,
pubblicava un editoriale entusiasta del direttore Menichini, che vedeva
“montiani ovunque” (persino Zingaretti!) e che elogiava Bersani: bene faceva Pierluigi,
sosteneva l’ex margheritino, ad avere un programma economico “montiano”, invece
di ascoltare i “Turchi” che invocavano maggior discontinuità. Il tutto mentre
salutava con gioia la scelta del “riformista” Peer Steinbruck come rivale della
Merkel (s’è visto infatti il successone dello SPD alle elezioni tedesche,
nevvero?). Ricordiamocele, tutte queste cose, perché ci aiuteranno ad evitare
inganni futuri.
Arriva l’estate. I miei mal di pancia aumentano,
anche nei confronti di gran parte della dirigenza del partito. Ai miei occhi, molti
di loro ora non fanno più parte della soluzione, fanno parte del problema.
Franceschini, Letta, Bindi: tutte personalità che appoggiano Bersani, tutti
però con una linea diversa. E se la classe dirigente ha linee diverse, cosa li
tiene uniti? Il potere, la sopravvivenza. Un cosiddetto “patto di sindacato”
che regge la maggioranza del partito formata da anime che non riescono ad
amalgamarsi: per mantenere l’equilibrio e la stabilità, congelano tutto, in
nome della conservazione. Non è un caso, quindi, che i “giovani turchi” siano
fra i più feroci critici del “patto di sindacato”. E quindi non è neanche un caso
che Bersani, pur difendendo spesso i “Turchi”, sia allo stesso tempo così
diffidente nei loro confronti. Mi unisco alle critiche alla dirigenza, vengo
accusato di sparare contro il quartier generale, di dare all’esterno una brutta
immagine del PD. Inizio a rompere i primi rapporti con alcune di queste
persone. Alcuni li ricomporrò in seguito, un anno dopo circa. Ma adesso
l’estate sta finendo, e questo ancora non posso saperlo. Unici momenti di
calore, la vacanza che mi prendo ad agosto con la mia signora. È un’estate
molto, molto fredda.
Capitolo
4: Antipathy for the Devil
E alla fine arriva Matteo Renzi. Il grande nemico.
La nemesi. La sintesi di tutto ciò che non voglio che diventi il PD. Non mi
spaventa tanto lui, quanto i suoi sostenitori: giovani e viziati figli di papà
freddi come il ghiaccio, che tuonano contro “l’egoismo dei protetti, l’ingordigia dei privilegiati” quando
devono motivare i loro attacchi ai diritti dei lavoratori che definiscono
“garantiti”. Si comportano come groupie nei confronti del loro leader (e del
suo giuslavorista preferito, Pietro Ichino): piccoli fan(atici) fedeli e obbedienti,
idolatri pronti ad azzannare e attaccare con furore talebano chiunque osi
pensarla diversamente, in nome di un anticomunismo che sfocia nel maccartismo.
Una fusione tra i berluschini e grillini, che però stavolta hanno lanciato
un’OPA nel più grande partito di (pseudo)sinistra rimasto. E, ancor più dei
vari Davide Serra, Pietro Ichino, Luigi Zingales e Mario Adinolfi, mi
spaventano quelli che vogliono votarlo o sostenerlo, al Renzi: è palese che a
loro di Matteuccio in sé non gliene freghi assolutamente nulla, questi vogliono
semplicemente utilizzarlo per spaccare e indebolire il centrosinistra. Emblematico
e spaventoso, a tal proposito, il pezzo di un video-servizio fatto da Diego
“Zoro” Bianchi in cui una sostenitrice di Renzi dice “Se non gli facciamo il culo adesso non glielo facciamo più” “A chi?”
“Al PD”. Questa gente, quella del “noi contro loro”, non deve vincere. Sono
disposto a tutto per impedirglielo. È la battaglia decisiva, forse ancora di
più di quella contro Berlusconi. Ne va dell’identità della sinistra, ne va
della sua stessa salvezza. Sono feroce come non mai, incupito come non mai, ma
so che è per una giusta causa. In questo momento, tutti i dubbi scompaiono:
l’unica cosa che conta è combattere la giusta battaglia. E vincerla.
Le
parole non possono spiegare quei giorni: come si può spiegare l’odio puro? Come
si può spiegare una vera e propria guerra in un costante alzarsi di toni, il
diventare ogni giorno di più una persona peggiore? Scorrettezze, meschinità,
maledizioni, scontri fratricidi, disprezzo. Alla fine, i barbari alle porte
perdono. Perdono male e, a differenza di Matteo Renzi, che fa un bellissimo
discorso della sconfitta, dimostrano di non saper accettare la disfatta: molti
di loro, delusi, abbandonano il PD (Ichino, Adinolfi, Zingales, Serra). Altri,
gli elettori infoiati che han votato Renzi solo per distruggere il
centrosinistra, giurano di tornare al vecchio amore (Berlusconi) o di buttarsi
su Mario Monti, Oscar Giannino o Beppe Grillo. Una cosa è certa: non
riconoscono il risultato delle primarie, quando tale risultato non è quello da
loro sperato. Non ho tempo per pensarci al momento, non è un problema mio. Bersani
ha vinto le primarie ed è diventato ufficialmente il candidato premier del
centrosinistra. È fatta. Rottama ‘sto cazzo. Sono felice.
L’ultimo
momento di felicità è quello delle parlamentarie di fine anno. Vengono messi in
posizione eleggibile molti “giovani turchi”, molti Giovani Democratici, molti
ragazzi e molte donne. Un rinnovamento è alle porte. Passo un capodanno sereno.
Il peggio deve ancora venire.
Sei
riuscito a resistere fino a questo momento, caro lettore? Perché è qui, è ora
che tutto crolla. È questo l’inizio della fine, il 2013, l’annus horribilis.
L’anno dove tutte le contraddizioni e gli errori già presenti negli anni
precedenti emergono ed esplodono. L’anno della mia morte, o comunque della
morte di quello che ero stato fino ad allora, che da quel momento in poi sarà
sostituito da…non so cosa.
Capitolo 5: Troppi X Bersani
Ma
se io sono “morto”, chi è il mio assassino? E chi è l’assassino del PD, del
centrosinistra, ma soprattutto l’assassino di ogni speranza e fiducia nel
futuro e nel cambiamento?
Per
capirlo bisogna mettere insieme tutti gli indizi, quindi cominciamo col fare un
passo indietro. Devi sapere, caro lettore, che le primarie Renzi-Bersani le ho
guardate da un punto di vista privilegiato: nientemeno che la sede romana
(nonché nazionale) del Comitato Bersani, dove ho collaborato come volontario
(gratuitamente, chiaro). Ho avuto modo di conoscere quasi tutti: Tommaso
Giuntella, Roberto Speranza, Alessandra Moretti, Miguel Gotor, Stefano Di
Traglia, Chiara Geloni. Al Comitato si produce ben poco: principalmente, si
esegue. Generalmente si rilancia ciò che è già stato prodotto da altri. E qui
arriviamo a un mio pallino: il programma di Bersani. Pier Luigi Bersani non ha
un cazzo di programma per le primarie. Renzi sì. Persino lui, sissignori,
persino Matteo Renzi, il comunicatore senza contenuti, la fuffa,
l’inconsistenza, la vaghezza incarnati: persino lui si è preso la briga di
scrivere nero su bianco le sue proposte per l’Italia. Bersani cos’ha, a parte
un sito dove si annuncia che (evviva!) a San Fuorimano e a Vergate Sul Membro è
nato un nuovo comitato per Pigi di ben 7 unità? (“Sì, Speranza, sì, l’ho messo il comunicato stampa dei Socialisti di Bulgarograsso,
so che ci tengono molto, sì”). Come sorta di succedaneo del programma di
Bersani mettono sostanzialmente la famigerata Carta d’Intenti firmata da tutti
i partiti che intendano partecipare alle primarie e alla coalizione di
centrosinistra. Mi chiedo io: ma che senso ha? Se è il programma di tutti
(quindi tecnicamente anche di Renzi, Puppato, Vendola e Tabacci) in cosa ti
differenzi tu? È ovvio che (anche) tu la pensi così, ma qualcosa di un
pochettino più concreto no, eh? Qualcosa che spieghi perché dovrebbero votare
proprio te e non qualcun altro? La cosa ironica è che la cosa più simile a un
programma elettorale di Bersani che circola in quei giorni nel Comitato…l’ho
scritta (ok, riassunta) io!!! Proprio io, mister nessuno!
Ok,
non è megalomania, ve la spiego: il primo o secondo giorno di “non-lavoro”
(quando ancora non avevo capito bene cosa si dovesse fare e quando pensavo di
dover avere anche un ruolo propositivo, magari portando qualche contributo)
decido di non entrare a mani vuote, pertanto mi leggo per benino il
libro-intervista a Bersani (“Per una buona ragione”), il libro del responsabile
economico del PD bersaniano, Fassina (“Il lavoro prima di tutto”), diverse
interviste cartacee e video di Bersani sul programma, i discorsi fatti da
Bersani alle Feste dell’Unità, li riassumo in 4 paginette di word e…voilà! Il
programma elettorale in piccoli punti concreti! Lo porgo a Di Traglia, convinto
che sarà cestinato perché hanno già il programma riassunto, e invece il
responsabile comunicazione del PD se lo legge con interesse. Morale della
favola, il “mio” programma sarà mandato via mail, fotocopiato e conservato da
diversi membri dello staff, alcuni addirittura se lo porteranno a Ballarò per
studiarselo prima del confronto (ciao, Ale!). E, badate bene, non sto dicendo
che io sia un genio: questo dimostra quanto fossimo ridotti male. Loro manco
c’avevano pensato, a fare una cosa simile. Più avanti propongo di riassumere,
rendendoli leggibili e soprattutto comunicabili all’elettorato, i documenti
programmatici con le proposte ufficiali del PD sui vari temi (scuola, ambiente
ecc). Mi rispondono più o meno così: “Sì,
ok, si potrebbe fare: lo fai tu? Chiama un po’ di gente e faglielo fare”,
progetto che a poco a poco scema (anche perché nel frattempo sono impegnato col
sito “Tutti X Bersani”). E mi fa capire un’altra cosa: nessuno si era posto il
problema. Il partito solido, il partito organizzato, l’apparato, non si era
posto il problema di comunicare la “linea” ai suoi iscritti e militanti, di
informarli, di formarli. Non si era posto il problema di comunicarlo ai
cittadini ed elettori, per convincerli. Non si era posto il problema di
trasformare tutti quei documenti in un programma elettorale. E se c’era
qualcuno che doveva prendersi la briga di fare quel lavoraccio, non erano i
tecnici o i politici o i dipendenti del partito (per giunta pagati). No, erano
i ragazzetti disoccupati e non pagati, che dovevano pensarci. Come no.
Mi
viene spiegato poi che c’è un motivo se non abbiamo un programma: “bisogna concordare il programma elettorale
dopo le primarie, con gli altri membri della coalizione, quindi finché non
finiscono le primarie e non inizia la campagna elettorale non possiamo farlo!”.
Ok, sì, ma intanto che le primarie ci sono, cosa si fa? Niente, hanno cercato
di battere Renzi col renzismo: personalizzazione, campagna incentrata sul
potere salvifico di Bersani, il votarlo “perché
sì, perché è più bravo, esperto e competente”. Tutto giusto, tutto
comprensibile e condivisibile. Ma non è una battaglia sui contenuti. Non è una
battaglia sulla politica.
Anche
durante le primarie sui parlamentari continuano i problemi: prima ci assicurano
che “il listino bloccato non c’è, non
esiste, fanno tutti le parlamentarie” (e noi militanti difendiamo questo
messaggio, per poi fare una figuraccia quando scopriamo che non è così), poi ci
dicono che “ok no, il listino esiste, ma
tutti quelli che hanno superato i 3 mandati devono fare obbligatoriamente le
parlamentarie!”, ma scopriamo che anche in questo caso non è così. E qui mi
incazzo: perché non mi piace quando vengo ingannato dai miei dirigenti, non mi
piace quando i miei dirigenti mi mentono. Quando difendo delle cose perché mi
sono fidato dei miei dirigenti che mi hanno assicurato, giurin giurella, che
sono vere, e poi scopro che non è così, non mi piace affatto. Perché la persona
che ha difeso l’indifendibile (perché c’ha creduto) sono io, a metterci la
faccia (e a perderla) sono stato io, non loro. Per colpa loro. E questo ai miei
dirigenti, ai miei compagni, non lo permetto. Mai. Qui c’è un primo distacco,
tra Natale e Capodanno.
Durante
le primarie era nata la guerra dei social network: gruppi contrapposti che si
incontravano tra le pieghe del web per organizzare campagne, sputtanare
avversari, pubblicizzare il proprio candidato facendo credere che avesse un
consenso maggiore di quello che aveva effettivamente sulla Rete (e nel Paese).
Tutti gruppi autoconvocati, che lo facevano volontariamente, credendoci: sì,
anche i renziani. Ricordo il loro gruppo facebook romano (non chiedetemi come
ho fatto a scovarlo), dove scrivevano i vari Paciolla (o Maltinti? Li confondo
sempre…) e soprattutto un tale “Peter W. Kruger”, una sorta di sergente
istruttore per i gggiovani renziani che gli faceva pompare qualsiasi cosa al
ritmo di “PUSH PUSH PUSH!”. Poi, dopo le primarie, vennero i “300 Spartani” di
Giuntella: mi venne chiesto di collaborare in quanto avevo una certa esperienza
con la comunicazione e con i social network (ne conoscevo le dinamiche, ne
conoscevo gli “opinion leader”). Doveva servire come terreno di confronto, con
un blog apposito di discussione civile e pacata, ma avevo dei dubbi: persone
che si fanno chiamare come gli spartani delle Termopili e che si rappresentano
su internet con un casco da rugby in testa, a tutto fanno pensare fuorché a
persone che vogliano discutere serenamente. Più dei guerrieri da tastiera,
semmai. La ritenni una perdita di tempo, una cosa controproducente e me ne
andai praticamente subito, prima di cominciare: non solo non avrebbero spostato
un voto (né pro né contro: i fan sui social network e i Trending Topic non
incidono sui risultati elettorali, sebbene qualcuno sia ancora convinto del
contrario). Dall’esterno sembravano un gruppo di esaltati, pronti a trollare i
critici, quasi come i grillini. Il momento in cui ci separammo fu quando
commentarono in massa un post di Mantellini che sfotteva Bersani. Non era una
cosa aggressiva né squadrista, non scherziamo: era una cosa stupida, inutile.
Uno spreco di forze, energie e risorse che meglio poteva essere utilizzato per
pubblicizzare i contenuti. A trollare su internet potevo bastare io: a me
piaceva, senonaltro. Ciò detto, anche quella fu un’operazione gratuita, per
quanto ne so, alla quale peraltro parteciparono non solo bersaniani, ma anche
alcuni civatiani e alcuni renziani. In un clima da “volemose bene”, gli
Spartani condividevano le foto di Bersani e Renzi in versione blues brothers (i
“Pd Brothers”), e Francesco Nicodemo stesso (l’attuale responsabile
comunicazione del PD renziano) aveva aggiunto un Renzi “Robin” in aiuto di
Batman/Bersani contro “i cattivi di Gotham City” (il Pinguino/Grillo, il
Joker/Berlusconi e Monti/Mister Freeze, se non ricordo male). Un’operazione
congiunta bersanian-renziana, insomma. Ci furono alcuni, i renziani più
assatanati, che non condividevano, e crearono quindi un contro-sito, ispirato a
quello di Sparta a partire dal nome, “gli Ateniesi”. Gli Spartani erano un’idea
così mal realizzata che giusto ai renziani poteva risultare così interessante e
rilevante al punto da doverla copiare. Poi ce ne erano altri, come Enrico
“Suzukimaruti” Sola, renziano all’ultimo stadio, che cercò mesi dopo di
smascherare un eventuale complotto del gruppo comunicazione PD, una cosa
ridicola tipo “il partito stipendiava i
troll su internet tramite gli Spartani, abbiamo anche la testimonianza del
superteste pentito”: il “pentito” sarei stato io, mediante dei tweet
screenshottati. Suzukimaruti, noto peraltro per le sue carinerie verso i
non-renziani, tipo (cito) “bisogna cacciarli
dal partito ad uno ad uno, a mazzate” o “forse un po’ sì, un po’ desidero davvero aggredire fisicamente Fassina,
dannazione”. Inutile dire che la cosa in sé fu imbarazzante per gli
Spartani, ma soprattutto per Suzukimaruti, il quale come al solito si sbagliava:
non c’era alcun complotto, alcun bieco programma dietro le quinte. Magari ci
fosse stato, quasi.
Il
programma, dicevamo. Va bene, dicevate che finché non finivano le primarie non
potevate farlo perché dovevate concordarlo con le altre forze della coalizione.
Bene. Ora avete vinto le primarie. Esiste una coalizione con cui parlare. Sono
finite le feste. Le elezioni sono alle porte. L’avete fatto ‘sto cavolo di
programma? No. Niente programma, solo “Votateci
perché siamo belli e gli altri sono brutti, AUH AUH AUH!”. Non capisco, non
ha senso, mi sento nuovamente preso per il culo. Gli spiego: “Ma noi siamo sempre stati quelli che
preferivano i programmi, i contenuti, la concretezza alla comunicazione vuota!
E vi dico che questo è il nostro momento migliore! La Storia sta dimostrando
che abbiamo ragione noi: quando passo per le strade, ai banchetti in piazza,
quando chiedo alla gente…finalmente non vogliono più slogan e belle facce,
vogliono le ricette! Vogliono sapere cosa proponiamo, finalmente! Finalmente la
gente HA FAME DI PROGRAMMI ELETTORALI!”. Mi viene risposto in una maniera
che probabilmente dovrebbero insegnarla nelle scuole, e mi rendo conto che
sembra una caricatura ma io vi giuro che me la ricordo grossomodo così: “Eh vabbé, mo’ dobbiamo sempre assecondare
quello che vuole la gente, sempre andare dietro agli umori della gente, questa
è demagogia e populismo!”. A nulla valsero i miei sforzi di far loro capire
che un conto è non dare sempre retta alla pancia della gggente, un altro è non
sfruttare l’unico momento in cui finalmente loro vogliono esattamente quel che
in teoria vogliamo dargli noi. Comincia così la campagna elettorale PIÙ BRUTTA
di tutti i tempi. Tra nazisti dell’Illinois, professori con cani che twittano
faccine, Berlusconi che restituisce cose, freak e slogan a cazzo.
Capitolo 6: Lo smacchiato
In
tutto ciò, cosa fa Pier Luigi Bersani? Bersani è convinto di aver già vinto le
elezioni, dopo aver battuto Renzi alle primarie. L’unica cosa che preoccupa
vagamente Bersani è di QUANTO possa vincere, ossia se gli serva proprio o meno
l’appoggio di Monti/Casini al Senato, nulla più. Bersani è così sicuro di
vincere che decide di non fare campagna elettorale. E, quel poco di campagna
elettorale che fa, la fa snaturandosi e snaturando il suo messaggio, la sua
stessa politica. Non è più Bersani che fa se stesso, è Bersani che fa Renzi. E
lo fa male. Manifesti col faccione di Bersani, cartelli con scritto
“Bersani2013” uguali a quelli di Renzi, una campagna elettorale
iperpersonalizzata, mera comunicazione, vuoti slogan senza contenuti: la
renzizzazione di Bersani l’ha reso l’incarnazione di tutti i cliché che i
detrattori del sindaco fiorentino attribuiscono solitamente a Renzi. Le liste
bloccate, poi, piene di simboli e feticci, tali e quali alle figurine
veltroniane, alcune delle quali piuttosto imbarazzanti per l’ambiguità
centrista: Galli di Confindustria, il procuratore Grasso (quello che i
berlusconiani han messo al posto di Caselli sfruttando una norma
“contra-personam”)…Un giorno ci avvertono e ci dicono “tenetevi liberi per mezzogiorno, c’è una cosa che dovete assolutamente
condividere!”. Cosa sarà? Una proposta shock? Una dichiarazione? Un evento?
Un gesto eclatante? Il fottuto cazzo di programma elettorale di merda? No. La
canzoncina di Bersani: l’inno scritto da Gianna Nannini. Ma si fottessero. Poi
arriva il video de “Lo Smacchiamo” e si tocca il fondo. Avranno pensato: “Nel migliore dei casi piace e sarà condiviso
a manetta, nel peggiore dei casi sarà ignorato”, suppongo. Nessuna delle
due cose: il video farà cagare ma sarà conosciuto da tutti, iper-condiviso e
sfottuto sia su internet che in tv e sui giornali, fino a diventare il simbolo
della pessima campagna di comunicazione elettorale del PD, fino a diventare il
simbolo della classe dirigente bersaniana, fino a diventare il simbolo della
sconfitta. Per non parlare del segnale di chiusura e paura dato dal concludere
la campagna elettorale dentro il Teatro Ambra Jovinelli mentre Grillo conquista
Piazza San Giovanni.
Ma
il vero problema è Bersani stesso: nel momento in cui non comunica il suo
programma e non ha idee nette, bensì vaghe e fumose, sceglie di non entrare in
partita. Nel momento in cui dice “Il mio
programma è l’Agenda Monti più qualcosina in più”, nel momento in cui si
limita a vagheggiare “un po’ più di
lavoro, un po’ più di equità”, quello è il vero problema, e non basta
appellarsi a “le forze del civismo”
(cos’è? chi sono?) o a “la nostra bomba
atomica, il popolo delle primarie” per salvarsi. Se hai i contenuti ma non
li comunichi, è come se quei contenuti non esistessero. Se hai messo ai margini
Orfini e Fassina per preferirgli Galli, la Nannini, i giaguari da smacchiare di
Geloni/Di Traglia e soprattutto il rincorrere Monti…in quel momento hai
snaturato il tuo programma elettorale ipotetico, e hai tradito te stesso (in
primis, e noi in secundis), per prudenza, timidezza, codardia. Non possiamo ad
oggi dire se a perdere il 25 Febbraio sia stato “il comunismo, il passatismo, il programma di sinistra”, per il
semplice motivo che tale programma non è mai stato tirato in ballo, in campagna
elettorale. La linea “turca”? È stato lo stesso Bersani a metterla in secondo
piano, a beneficio di un montismo “light”, per la gioia di alcuni dei suoi
sostenitori. E nel mezzo di questa crisi, se l’elettore medio vede che non
cambierà nulla, sia che si voti Berlusconi sia che si voti Bersani sia che si
voti Monti, poiché tutti e tre affermano che la loro linea economica sarà
quella montiana, per quale motivo dovrebbe votare? Se le tre offerte in campo
sono uguali, a lui non cambia niente che prevalga l’una o l’altra. A meno che
non ci sia una quarta opzione, che per quanto ridicola e assurda è l’unica che
sembra dire qualcosa di diverso dalle altre tre: il Movimento Cinque Stelle di
Beppe Grillo. E infatti. Poco prima delle elezioni, incontro alcune mie ex
rivali renziane: dentro di me le ho sempre ritenute delle zucchine, delle
ottuse maccartiste anticomuniste ed ex fascioberlusconiane. Avevo palesemente
ragione io. Ma noto anche che sono rimaste nel PD, anche dopo la sconfitta di
Renzi, e che a modo loro stanno lavorando per il PD, facendosi il mazzo, tra
volantini e (alcune, quelle più “di sinistra”) servire ai tavoli della Festa
dell’Unità. Questo mi fa abbassare le difese, mi consente di lamentarmi anche
con loro della pessima campagna elettorale che stiamo facendo, di scambiarci
gli appunti, diciamo. “Vinceremo comunque
noi – dico loro – però per come ci
stiamo muovendo non ce lo meriteremmo”. Mi sbaglio, stavolta. Non sul fatto
che non avremmo meritato di vincere, ma sul fatto che avremmo effettivamente
vinto. Non sarà così. L’elettorato, purtroppo, del fatto che non meritiamo di
vincere se n’è accorto. Eccome.
Capitolo 7: Ma s’io avessi previsto
tutto questo, dati causa e pretesto…
È
il 25 febbraio e a Balduina abbiamo vinto. Scopro fin troppo presto che il
nostro dato non è rappresentativo: nel nostro territorio siamo presenti,
abbiamo dei messaggi concreti da mandare e abbiamo lavorato bene, per questo
abbiamo ottenuto delle percentuali molto, molto, molto più alte del dato
nazionale. Monti, il corteggiatissimo Monti, il #meglioMonti, il #riMontiamo,
l’Agenda Monti, è un fuocherello di paglia inconsistente. Di Pietro, Ingroia,
Rutelli e Fini, spazzati via dalla Storia: solo Casini si salva grazie a un
posto in lista sicuro. Berlusconi giganteggia, sconfitto ma ancora con un peso
notevolissimo. Grillo è il vero terzo polo, nonché quasi il primo partito in
Italia: ci salva solo il voto degli italiani all’estero, ma se teniamo conto degli
italiani presenti nella penisola, siamo secondi. Abbiamo sostanzialmente perso.
Non
piango.
Non
piango, non in quel momento, non quel giorno. Vorrei farlo, vorrei arrabbiarmi,
ma a parte sbattere con forza la porta della sezione (rischiando di romperla)
al mio ritorno alla “base”, non riesco ad avere molte altre reazioni. Non
riesco a provare emozioni: assorbo e assaporo però le emozioni altrui, che in
quel momento sono fortissime. Sento i miei compagni di sezione, i miei
dirigenti di sezione, dire con sincerità cose che in seguito quasi non
ripeteranno più, o non con la stessa forza. Ma questo è il momento della grande
autoanalisi, della grande confessione di gruppo. Gli errori di Bersani, in quel
momento, sono ben noti a tutti. “Non
voglio vincere sulle macerie”, e ora sulle macerie ci hai perso. “Anche se avessi il 51% governerei come se
avessi il 49%”, e manco il 30% hai preso. Anche D’Alema, mito inossidabile
per alcuni di loro, viene da loro stessi messo alla graticola: ironico, tenendo
conto che forse è il meno colpevole in tutta questa storia. Un mio giovane,
dalemianissimo compagno di sezione, dice le parole che speravo non avrei mai
sentito: “Bersani si dovrebbe dimettere,
non può più fare il presidente del consiglio”. Io sono ancora in una fase
nostalgico-sognante: “Come segretario
magari si deve dimettere, ma deve provare a fare il premier: sarebbe stato il
primo presidente del consiglio ex comunista eletto coi voti dei cittadini,
sarebbe stato bellissimo, un evento storico”. “Eh, allora avrebbe dovuto vincere le elezioni”, mi risponde con la
solita, amara lucidità.
E
poi dice un’altra cosa, la cosa che temevo ancor di più e che da lui meno mi
aspettavo: “Ora l’unica chance è Renzi,
deve andare avanti lui”. In quel momento sui social network alcuni renziani
hardcore stanno già invocando il Ritorno del Re(nzi), a manco un’ora dalla
sconfitta e a cadavere caldo. Figurarsi. Ma che proprio gli antirenziani (se
non proprio dalemiani) ora vedano come unica chance Renzi, no, questo
inizialmente non lo capisco. Non erano quelli del grande partito che sforna
tanti ottimi dirigenti? Non erano quelli contro il personalismo della politica?
Possibile che siano i primi a vedere tutto come una sfida a due, possibile che
le uniche due alternative siano Bersani o Renzi? Possibile che siano
intercambiabili? Perché c’è una cosa che mi sono chiesto, quando tutto è
crollato: poteva andare diversamente? Tornando indietro, avrei votato
diversamente? No. Probabilmente avrei rifatto tutto. Perché se le alternative
erano quelle, io devo per forza votare chi più mi rappresenta, chi si avvicina
di più alle mie posizioni: in quel caso era Bersani. Se ci fosse stato Renzi, tanto,
Berlusconi si sarebbe candidato ugualmente (era il candidato più forte che
aveva il PdL, se tanto temeva Renzi perché avrebbe dovuto candidare una mezza
sega come Alfano, suicidandosi?). Se ci fosse stato Renzi, Grillo avrebbe
comunque avuto buon gioco, sfruttando il repertorio dell’inciucio, del
berluschino, delle Cayman, del giovane democristiano, delle gite ad Arcore ecc
ecc. Se ci fosse stato Renzi, probabilmente il centrosinistra si sarebbe
frazionato ancor di più, con scissioni varie. Non penso, quindi, che la
situazione sarebbe cambiata di molto. Qui parliamo di uno che è riuscito a
farsi battere persino da Bersani, figuriamoci se ce l’avrebbe fatta contro
quelli che hanno battuto colui che lo ha sconfitto. E poi vogliamo parlare
delle idee economiche? Se c’era una cosa chiara della volontà dell’elettorato a
queste elezioni, era un immenso “VAFFANCULO” alle politiche economiche montiane
e della BCE: vaffanculo alla linea Ichino, vaffanculo all’agenda Monti,
vaffanculo al modello Marchionne. Dubito, così a naso, che con un candidato che
a queste politiche è così legato e appassionato avremmo intercettato meglio il
voto di protesta. Certo, c’è chi dice “Eh,
ma magari la gente normale non sa che Renzi è per Monti/Ichino/Marchionne,
l’avrebbe votato per la rottamazione, il dimezzamento dei parlamentari e
l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti”. Ok, quindi state
dicendo che dobbiamo proporre un programma elettorale che l’elettorato non
approverebbe, sperando che non se ne accorgano, distratti dagli slogan
populisti: va tutto bene, ma poi durante l’eventuale governo sarebbe emerso
tutto ciò, e nel futuro ci avrebbero inseguito coi forconi. Certo, ora ai
forconi ci stiamo lo stesso, e stiamo facendo le stesse cose, quindi…ma a
questo ci arrivo dopo. Ci potremmo scrivere una tesi: “Come siamo riusciti a diventare peggiori di Renzi, come siamo riusciti
a trasformare Renzi prima nel male minore, poi addirittura in una speranza”.
Ma ne parlo dopo.
Capitolo 8: “La prima volta che mi
vergogno di loro e per loro”
In
tutto ciò, Bersani non si sa più dove sia. È sparito. Gli iscritti, gli
elettori, i militanti, il popolo del centrosinistra si sente perduto, ha
bisogno della sua guida, di conforto, di spiegazioni, di qualche parola. E
Bersani se ne sta chiuso da qualche parte con i suoi fidi consiglieri Errani e
Migliavacca. Per commentare il tutto non userò le mie parole, bensì quelle di
un importante intellettuale dei quarantenni post-dalemiani (per rispondere alla
domanda muta di alcuni: no, non è Cundari). Le scrisse in privato, queste
parole, quindi le abbiamo lette solo io e pochi eletti, ma mi colpirono molto,
al punto che me le segnai e le conservai. Non rivelerò il suo nome neanche
sotto tortura, ma quel che dice è indicativo della fine di un’era: “Ieri notte c’erano ancora i compagni in
sezione in attesa del segretario. Zero. In TV a metterci la faccia ci hanno
mandato Letta, Orfini, Fassina e Speranza. Quelli che decidono veramente si
sono chiusi nel bunker. Ho sempre difeso i miei dirigenti, spesso anche quando
non se lo meritavano. Ma in vent’anni di militanza è la prima volta che mi
vergogno di loro e per loro. Perché ci può stare che le cose vadano meno bene
del previsto, ma ognuno si deve prendere le sue responsabilità e non lasciare
militanti e simpatizzanti a brancolare nel buio”.
Rileggiamo:
“Ho sempre difeso i miei dirigenti,
spesso anche quando non se lo meritavano. Ma in vent’anni di militanza è la
prima volta che mi vergogno di loro e per loro”. Parole amare, parole vere.
Sorge la speranza, però. Mi sento svuotato, sì, ma anche euforico. Ora è il
momento di cambiare. Tutti insieme: Giovani Turchi, Civatiani, Renziani. È il
momento tutti insieme di distruggere una volta per tutte il “Patto di
Sindacato” che regge e paralizza il partito. È il momento per i giovani uomini
e donne eletti in Parlamento di fare rete tra loro, e magari collaborare coi
molti giovani del Movimento 5 Stelle. Paradossalmente possiamo fare con loro
più di quanto potevamo fare con Monti. Possiamo fare un programma MOLTO più
radicale e rivoluzionario. “Sta tutto qui”,
mi spiega un mio caro, burbero compagno di pochi anni più grande di me: “la linea di demarcazione tra conservazione e
cambiamento”. Ho contribuito a fare eleggere molti giovani di cui mi fido,
ce la possiamo fare: da loro, scoprirò mesi dopo, riceverò il tradimento più
grande di tutti. Perché quando non ti fidi della dirigenza attuale, puoi sempre
sperare nella dirigenza futura, nei giovani: quando ti deludono anche loro, non
ti rimane più niente, neanche la speranza. E loro, specie se più giovani di te,
non hanno neanche l’unico pregio che hanno invece alcuni dei vecchi, pessimi
dirigenti attuali: il fatto che moriranno prima di te.
Capitolo 9: “Ro-do-tà! Ro-do-tà!”
I
grillini, va detto, mostrano il loro lato peggiore. Il famigerato incontro in
streaming di Bersani con Crimi e Lombardi andava fatto, senza dubbio, ma con
toni diversi, forse proposte diverse. Persino Enrico Letta, mesi dopo, riuscirà
a sembrare più incisivo di Bersani, che in questo momento è un uomo distrutto,
un uomo disperato che va a tentoni. Ma due mosse le azzecca, mettendo in scacco
i grillini: l’elezione dei presidenti di Camera e Senato, Boldrini e (il da me
tanto vituperato) Grasso. Inizio a nutrire speranza. Una volta cambiato il
Presidente della Repubblica, è fatta, possiamo provare a fare un governo.
Magari a tempo, ma comunque a modo suo rivoluzionario. E qui arriviamo al punto
di non ritorno: Bersani annuncia sorprese per la lista dei nomi che proporrà
per il Quirinale. Un nome non convenzionale, un nome “di cambiamento”, una
mossa alla “Boldrini&Grasso”. Sia chiara una cosa: ciascuno si deve
assumere le proprie responsabilità e deve rendere conto di quello che dice e
che fa. Ciascuno è responsabile della propria coerenza e credibilità e paga il
prezzo quando si dimostra inaffidabile e poco credibile venendo meno alla
parola data. Specie se sei un politico, specie se sei un dirigente di partito e
candidato premier. Nessuno, ripeto nessuno, ha costretto Bersani a fare quella
promessa puntandogli una pistola alla tempia. L’ha voluto dire lui. E alla fine
scopriamo che i nomi che sembrano circolare sono Franco Marini, Luciano
Amato…il nome migliore e più di rottura, per farvi capire, è Massimo D’Alema.
Nel frattempo, i grillini compiono una mossa astuta: dopo aver dribblato con
eleganza i vari, improponibili Dario Fo, Gino Strada e Milena Gabanelli,
scelgono come candidato alla Presidenza della Repubblica il professor Stefano
Rodotà. Per meglio dire, ce lo scippano: non solo Rodotà, malgrado l’età
avanzata e la sua storia, rientrava alla perfezione nella descrizione dei nomi
“di cambiamento” a cui accennava Bersani, ma era anche “nostro”, a tutti gli
effetti. Ex PCI, ex presidente del PDS, parlamentare, europarlamentare, garante
della privacy…era la perfetta sintesi tra l’anima del partito e l’anima della
società civile, il compromesso perfetto. Di più: aveva votato esplicitamente
per Bersani alle primarie del centrosinistra, e aveva fatto campagna elettorale
per il PD di Bersani alle ultime elezioni! Era l’occasione perfetta per stanare
i grillini, per vedere il loro bluff: il PD poteva accettare di votare Rodotà
insieme a loro, dichiarando pubblicamente la propria soddisfazione nel vedere
che il M5S aveva scelto come candidato una figura del centrosinistra, elettore
del PD e sostenitore di Bersani. A questo punto il partito si sarebbe “ripreso”
il merito della candidatura di Rodotà al Quirinale, a discapito dei
Pentastellati, che probabilmente avrebbero rinnegato l’appoggio a Rodotà o gli
avrebbero fatto mancare i voti. Ma a questo punto il PD non avrebbe avuto nulla
da rimproverarsi e la colpa sarebbe ricaduta, agli occhi di tutti gli italiani,
sui grillini, che ne avrebbero pagato il prezzo e sarebbero stati bollati
definitivamente come irresponsabili. E poi si sarebbe andati al voto:
d’altronde, a differenza dell’epoca Monti, in questo caso andare ad elezioni
anticipate non era più visto come un qualcosa da evitare a tutti i costi pena
la catastrofe. Bersani lo aveva assicurato: mai un governo col PdL, o governo
(magari anche col M5S, o con la sua non-ostilità) o al voto. Anche il segretario
nazionale dei GD che avevo votato a congresso, Fausto Raciti, diceva la stessa
cosa: nessun governissimo col PdL, il nostro popolo non lo capirebbe, sarebbe
un errore imperdonabile, piuttosto meglio tornare al voto. Ero sereno. Non
avevo motivo di dubitare della parola dei miei due segretari nazionali. No?
Anche il responsabile economico del PD, da me più volte
stimato e difeso, Stefano Fassina, era stato chiaro: "Noi con un
partito guidato da Silvio Berlusconi, quello della compravendita di parlamentari,
quello che fa votare Ruby nipote di Mubarak, quello delle leggi ad personam...
con un partito guidato da uno così, noi non facciamo alleanze!". Matteo
Orfini, il mio preferito in un eventuale futuro toto-segretario, assicurava: “Né ora né mai un esecutivo con il Cavaliere!”,
così come Bersani stesso: “No al
governassimo altrimenti arriveranno giorni peggiori”. Mi fidai, perché non
dovevo farlo? È per questo che nel nostro partito si parla tanto di gerarchia e
delega: i dirigenti sono scelti da noi (o comunque da persone scelte da noi), e
in quanto tali godono della nostra fiducia. Non è forse così? La Linea era
quella, ed era una linea a me molto gradita. Renzi, al contrario, stava
palesemente sperando in un’alleanza tra PD e PdL. Non perché la volesse davvero,
sia chiaro, ma perché sarebbe stata l’ultima goccia per il popolo del
centrosinistra: non l’avremmo mai perdonata al gruppo dirigente del Partito e a Bersani. E sarebbe rimasto solo lui, a
raccogliere i cocci. Da un lato diceva “la
mia lealtà è fuori discussione”, dall’altro puntava a sminuire ogni
tentativo col M5S, a far notare che si stesse perdendo tempo, che in un paese
normale sarebbe stato normale fare un governo di larghe intese col PdL. Tattica
politica, cinicamente dalemiana: lo capivo, anche se non lo giustificavo. Ma da
lui e dalle belve renziane non m’aspettavo nulla di più. Dagli altri, invece,
cosa mi aspettavo? Molto. Ma non mi aspettavo “di tutto”. E invece…
Capitolo 10: The
day the Parliament stood still
E venne il giorno. Il primo di quattro giorni che hanno
sancito la morte di un partito, ma soprattutto la morte di molte, troppe
passioni ed entusiasmi per la politica. Il 17 aprile, Bersani impone di fatto all’assemblea dei grandi
elettori il nome di Franco Marini al Quirinale. Un nome che è stato de facto scelto da Silvio Berlusconi.
Questo per un motivo molto semplice: Bersani è un uomo disperato, è disposto a
giocarsi il tutto per tutto pur di andare al governo del paese. A costo di fare
un patto col PdL. A costo di rinnegare quanto dichiarato e spergiurato fino ad
allora. I difensori di quella scelta diranno in seguito: “Non eravamo maggioranza nel Paese, non potevamo imporre un nome per il
Quirinale da soli”. Peccato che in Parlamento ci siano ben tre forze di
pressoché pari peso: l’unico modo per essere davvero rappresentativi del Paese
sarebbe stato trovare un nome che piacesse sia al centrosinistra, sia ai
grillini, sia ai berlusconiani. Cosa pressoché impossibile, per cui erano due
le forze che dovevano scegliere il Presidente della Repubblica a scapito di una
terza. Si è preferito il PdL al M5S, che peraltro era già stato stanato ben due
volte, per la scelta della presidenza di Camera e Senato, e che in questo caso
aveva anche offerto un assist immenso, un’occasione irripetibile, candidando
fra tutti uno come Rodotà.
Insomma, Bersani impone come nome quello di Franco Marini e
lo mette subito ai voti, nonostante i pareri contrari e le richieste di
spiegazioni. Vengono contati come voti favorevoli quelli di persone che neanche
sono presenti in aula: una novantina vota contro. Tra astenuti, contrari e non
presenti (SEL ha addirittura abbandonato l’aula), una buona metà dei membri del
gruppo parlamentare del centrosinistra è contrario. La logica imporrebbe che
Bersani ci ripensi, ci rifletta, cerchi di spiegare meglio la sua scelta di
Marini, magari valuti se sia il caso di pensare a un altro nome, magari di
sceglierlo tutti in quell’aula, democraticamente. Ma l’ego, l’ambizione e la
disperazione di Bersani ormai lo hanno portato troppo oltre. “Con l’imposizione di Franco Marini, Bersani
ha praticamente aperto, già in quel momento, il congresso del PD”, sostiene
un mio giovane compagno di sezione: ha perfettamente ragione.
Iniziano le proteste. Ora, non tenete conto di tutto quello che
si dice ora, non pensate allo schifoso revisionismo storico che c’è stato sia
sulla scelta di Marini sia sulle proteste seguite. Io c’ero, io ho vissuto quel
momento, io so perfettamente cosa dissero e pensarono tutti, all’epoca. Ricordo che Orfini in quell'assemblea votò contro la candidatura di Marini,
ricordo di aver scoperto con orrore, poi, che però Fassina e Orlando avevano
votato a favore. Ebbene sì: i Giovani Turchi, la corrente Rifare L’Italia che
tanto amavo, si era già spaccata in almeno due tronconi. E ricordo le proteste,
i vari #occupyPD. Ne facemmo uno anche noi, in sezione. E smentiamo una delle
balle che è circolata dopo: non è vero manco per un cazzo che era una cosa nata
in rete tra quattro sfigati, non è vero manco per un cazzo che erano solo
civatiani o esibizionisti. Erano militanti, iscritti, compagni in carne ed
ossa, veri e incazzati, molti bersaniani, molti Turchi, molti dalemiani. Ora si
cerca di non pensarci, si cerca di rimuovere quel momento con imbarazzo, ma le
proteste iniziarono da allora: e proprio da molte di quelle persone che oggi,
con un’ipocrisia vomitevole, ci vogliono spiegare che è stata una catastrofe non
votare Marini. Gli stessi che poi si inventarono la balla del “era una scelta perfetta, ma i nostri
parlamentari si sono fatti spaventare da qualche tweet”. Non so niente dei
tweet, so però molto della rabbia e della delusione di persone in carne ed ossa
che a quel partito avevano dato tutto quel che avevano, per anni e anni.
Ricordo Matteo Orfini che scrive “Sono
contrario alla candidatura di Marini perché divide il PD e la coalizione”,
ricordo Giuditta Pini che dice: “Io sto
con i militanti e con gli elettori, non con una proposta che divide l’Italia e
il partito”. Ricordo Giuditta Pini twittare, il 18 aprile, “Oggi come non mai seguo la costituzione.
Articolo 67”, ossia il voto senza vincolo di mandato. E infatti Giuditta e
molti altri voteranno contro Marini. Altri, in seguito, blatereranno di
disciplina, del fatto che avendo perso una battaglia in assemblea si sarebbe
dovuto comunque votare compatti per quell’ordine assurdo, e anche la Pini in
seguito accoglierà questa nuova versione dei fatti. Probabilmente ora si è
pentita di aver avuto quell’attimo di ribellione in Parlamento. Peccato: era
una cosa da stimare.
Marini non ottiene i voti necessari. Ora è il momento della
verità, ci diciamo tra noi giovani compagni. Ora Orfini deve prendere la parola
pubblicamente, mettere sotto accusa Bersani per il suo comportamento scellerato
e chiederne le dimissioni. Invece Orfini tace: l’ennesima tragica mancanza di
coraggio. Altre ne seguiranno, costringendolo a restare per sempre un secondo
violino. Bersani è nel pallone, al punto da cambiare linea per l’ennesima
volta. Prima niente governo con Berlusconi, poi Quirinale con Berlusconi, poi
ancora Quirinale senza Berlusconi, anzi, contro di lui. Dal nome scelto da
Berlusconi (Marini) al nome più inviso di tutti a Berlusconi: Romano Prodi, una
delle principali nemesi del Cavaliere. Un comportamento schizofrenico, che
dimostra ancora di più che il Segretario non sa che pesci prendere. E il gruppo
parlamentare PD se n’è accorto, eccome. Bersani tenta l’ultimo colpo di mano,
anche stavolta senza discussione e in maniera antidemocratica: organizza una
sorta di acclamazione una volta che viene pronunciato il nome di Prodi, in modo
da evitare qualsivoglia discussione. Il resto di questa storia è scontato.
Prodi “muore” e nascono le larghe intese: i due eventi hanno gli stessi
artefici.
Voglio essere molto chiaro: anche io ce l’ho con i 101.
Disapprovo profondamente l’ipocrisia di fondo del Partito Democratico, che è
poi quello che li ha generati: l’ipocrisia che ha fatto votare sì a Marini
invece di astenersi, votare no o prendere la parola e dissentire in pubblico.
La stessa ipocrisia che li ha fatti applaudire al nome di Prodi e a non
prendere la parola per far notare la pagliacciata. Ho sentito molte volte i
miei compagni e dirigenti blaterare del fatto che “i panni sporchi si lavano in
casa”. Quindi le cose vanno dette, le critiche vanno fatte, ma in privato. E
invece la somma ipocrisia è che la “casa” dove si possono fare le critiche non
c’è, e se c’è è un caminetto di pochi piccoli amici, compagnucci di scuola o
fedeli alleati di corrente: l’unico momento dove si possono fare le critiche,
in privato, in segreto, quando il nemico non ti ascolta. I panni sporchi in
casa non si lavano mai, le critiche non vengono mai fatte nei luoghi e nei
momenti in cui andrebbero fatte. Questo ha ucciso il PD. Il PD è crollato sotto
il peso delle sue contraddizioni, sotto le sue ipocrisie. Il “Patto di
Sindacato” ha mostrato la sua definitiva debolezza e fragilità. Ciò nonostante,
e non per giustificare il vile comportamento dei 101 (che a differenza dei
franchi tiratori di Marini manco si sono palesati), posso dire che stando così
le cose, non poteva andare in altra maniera. Se volessimo trovare un unico
colpevole tra tutte le ombre, bisogna pensare alla 102esima persona.
Sissignori, ho il nome del colpevole, come in un giallo di
Agatha Christie. È Pier Luigi Bersani l’assassino. L’assassino di se stesso,
l’assassino del PD, del centrosinistra, del governo di cambiamento. Ha
delegittimato lui, per primo, tutta la dirigenza del PD: cosa diavolo si
aspettava? È lui che ha armato i 101, è lui che ha affondato Prodi imponendolo
in quella maniera, è lui che ha smentito se stesso e il PD tutto con la scelta
di Marini. E non si dica che “Marini è
stato scelto per evitare le larghe intese” o che “Il Quirinale e il governo sono due campi da gioco diversi”. In
tutto ciò, cito un caso curioso: i 300 Spartani, da me tanto sfottuti, hanno
avuto la loro vera, ultima battaglia delle Termopili proprio sul tema del
Quirinale. Ora il loro sito non c’è più, la loro pagina twitter non c’è più,
alcuni dei loro ex membri ora difendono l’indifendibile, altri sono diventati
iper-ribelli. Ma resta la loro pagina facebook, “Trecento Spartani”, con i loro
ultimi post. Il 17 febbraio: “Le abbiamo
fatte anche noi, le Quirinarie. Ha vinto Stefano Rodotà con il 59% di
preferenze. 2° Romani Prodi. 3° D'Alema. Giuliano Amato zero voti”, e
anche: “Coraggio. Rodotà”. Il 18
aprile pubblicano questo post di Michele Serra: “Molte persone, chi con il magone, chi schiumando rabbia, si sono
chieste come è possibile farsi talmente male”. Il 18 aprile, “Noi speriamo nel cambiamento, quello per cui
abbiamo lottato. Si può cadere in errore, basta sapersi rialzare”. Il 19
aprile: “Prodi è la scelta giusta” e
infine “Segretario, prima vogliamo il
cambiamento. Ferma l’accordo Berlusconi-Renzi-D’Alema”. E quello è l’ultimo
status. Delusi dai 101 (nei quali vedono un inciucio tra D’Alema e Renzi), ma
anche dalla scelta di Marini al posto di quella di Rodotà. Dopo averli tanto
malgiudicati (giustamente, ribadisco) posso dirlo lo stesso? Se ne sono andati
con onore. Almeno quelli che la pensano ancora così e che non hanno subìto
lavaggi del cervello.
Renzi si precipita a dire “La candidatura di Prodi non c’è più”,
gongolante perché anche stavolta il suo principale rivale per la premiership
non ne ha imbroccata una. Avrebbe potuto avere il cinismo necessario, Renzi,
per “bruciare” Prodi solo per le sue ambizioni? Alcuni suoi parlamentari (non
quelli saliti dopo sul suo carro, bensì quelli “della prima ora”) erano
nascosti in mezzo ai 101? Non lo sapremo mai. All’epoca lessi altri sfoghi
pubblici: “Pensavo che non si potesse
fare peggio della scorsa legislazione ed invece mi sbagliavo clamorosamente.
Abbiamo mandato in Parlamento il peggior gruppo parlamentare mai visto e mi
riferisco particolarmente ai 101 deputati che hanno preferito il piccolo
interesse a quello della comunità, prima di tutto la propria”. E anche: “Pensavamo
che fosse l' Italia a non meritarci. Ora possiamo affermare con ragionevole
certezza che siamo noi a non meritarci i loro voti”. Queste le parole di alcuni miei compagni
in quei giorni. Hanno cambiato idea, oggi? Quasi lo preferirei. Peggio: alcuni
di loro la pensano ancora così, ma difendono consapevolmente qualcosa di
sbagliato. Disciplina di partito, ipocrisia, quieto vivere, ordini di capo
corrente. Non lo so. Non lo voglio sapere.
Capitolo 11: “Troppo
radicale e duro col nostro riformismo”
Siamo
tra il 19 e il 20 aprile. In questi giorni, in queste ore convulse, i
parlamentari PD si stanno affannando per spiegare i motivi per cui Rodotà non
potrà mai e poi mai essere votato da loro. Alla fine della fiera l’unica
spiegazione convincente è quella suggerita tra le righe: “Ma ci avete visto? Ma avete visto che cialtroni siamo? Ma vi pare che
gente che candida Marini e che affonda Prodi possa votare Rodotà? Non sappiamo
manco allacciarci le scarpe da soli, figuriamoci!”. Ma per il resto, ecco,
per il resto le arrampicate sugli specchi sono molteplici, la mancanza di senso
del ridicolo palese. Vediamone un po’.
1)“Nel momento in cui
Rodotà è diventato il candidato del M5S ha perso ogni probabilità di essere
eletto”. Non doveva diventarlo, infatti. Ce lo avete fatto diventare voi,
non avendoci pensato prima. Poi non avete sfruttato l’occasione che avevate per
scipparglielo, al M5S (anzi: per riprendervelo). E infine opponendovi con tutte
le forze ad una sua eventuale candidatura. Manco nella rosa dei nomi c’era. Ci
credo che diventa il candidato “del M5S”.
2)“Le quirinarie
frettolose e confusionarie del M5S sono state intese come prove teniche di
presidenzialismo. Una parte del PD non ha accettato di sdoganare questo metodo,
creando un pericoloso precedente”. Che bello, quanto siete antifascisti e
democratici! Peccato che Rodotà non fosse manco il primo classificato, delle
quirinarie grilline. Era uno dei tanti usciti fuori da quella serie di nomi,
che poi il gruppo parlamentare grillino ha proposto. Da qui all’investitura
diretta del Presidente della Repubblica via internet ce ne passa. Quindi no,
non regge, sorry. Ah, e il pericoloso precedente c’è stato quando avete
rieletto PER LA PRIMA VOLTA NELLA STORIA REPUBBLICANA un Presidente della
Repubblica al suo secondo mandato consecutivo. Oltretutto, ironia della sorte,
il Presidente della Repubblica più interventista e presidenzialista di tutti.
3)“In strada, tra i
vari manifesti grillini, c’era un cartello con su scritto AMMAZZATELI TUTTI e
Rodotà non ha detto una parola”. Maledetti ottantenni che non controllano
personalmente tutti i manifesti presenti in una piazza. Peccato che Rodotà
delle parole critiche verso Grillo le abbia dette eccome, quei giorni. Gli
altri, ovviamente, se ne sono fregati o hanno giocato sul “doveva dirle prima!”, il che mi ricorda la favola del lupo e
dell’agnello (“Allora sarà stato tuo
padre!”), oltre che un atteggiamento ottusamente grillino (la sindrome del “NunVeVaMaiBeneUnCazzo”).
4)“Dicevano O RODOTÀ O
NIENTE e quindi non va bene, perché è un’imposizione”. Quindi anche se in
realtà lui ti andava benissimo e ti faceva pure comodo non lo voti, perché a
proporlo sono degli stupidi arroganti, anche se accettarlo farebbe più male a
loro che a te oltretutto. Ma soprattutto, questa argomentazione spiega bene
qual è la risposta dei gggiovani piddini parlamentari al “Perché no Rodotà?”, ossia: “Perché
tu ci chiedi perché no Rodotà”. Ah beh.
Altra cosa agghiacciante di quei giorni (stavolta dopo il
terribile 20 aprile): i deputati modenesi, tra cui Giuditta Pini, Cecile Kyenge
(sì, proprio lei, il ministro) e Matteo Richetti (RENZIANO, sissignori: fuori
dal mondo anche loro, parliamo di gente che credeva seriamente che Chiamparino
sarebbe stato un buon Presidente della Repubblica apprezzato dall’elettorato,
ricordiamocelo bene), scrivono una inquietante nota scritta in orrendo
politichese: “Abbiamo CONVINTAMENTE
votato Giorgio Napolitano”, esordiscono. Ah beh, vantatevene pure. Spiegano
poi che non hanno votato Rodotà per via del suo “radicalismo” e per le sue “critiche
al riformismo del PD” (poi che minchia vuol dire “riformismo” me lo
dovranno spiegare, prima o poi). Giudicate voi.
Capitolo 12: Il 20 aprile.
L’istante in cui sono morto
E dove mi trovo io tutti questi giorni? Sono in vacanza. Sono
al Circeo, a casa di un amico, insieme alla mia ragazza. Mi arrivano le notizie
da Roma, ed io assisto da lontano, impotente, senza poterci fare nulla.
Non sono felice.
Non piansi il 25 febbraio, non piansi con il suicidio della
dirigenza PD il 17 dicembre, non piansi con la carica dei 101 il 19 dicembre.
Non piansi neanche quando il PD, salvo pochi eroici parlamentari (ricordo a tal
proposito Walter Tocci: gloria e onore a lui), votò per la rielezione di
Giorgio Napolitano. Subito dopo, però, controllo in giro le reazioni a quel che
avevano fatto. Giovani parlamentari, gente da me sostenuta, gente per cui avevo
tifato, gioendo delle loro vittorie, ritenendole in parte anche vittorie mie,
gente da cui mi sentivo rappresentato in Parlamento…che dimostra tragicamente
di essere fuori dal mondo. Si complimentano con se stessi, sorridenti e sereni,
ringraziano Napolitano per aver accettato. Quando avrebbero dovuto scrivere una
sola cosa: “scusateci”.
In quel momento piango, sì.
Mi rendo conto di una cosa, di cui avrò la conferma i giorni
e mesi seguenti, vedendo il comportamento di molte delle persone a me vicine,
del loro progressivo digerire e smaltire questi giorni come se nulla fosse
successo, negando le delusioni. Mi rendo conto che io lì, nel PD, ho ormai
molti conoscenti anche piacevoli e simpatici, gradevoli, con cui passare il
tempo e divertirmi. Ho anche diversi amici. E ho anche degli amori.
Ma non ho più compagni.
Non ho nessuno più di cui possa fidarmi. Mi sento solo. Una
minoranza di uno. È la prima volta che mi sento così, privo di speranze.
Nella
tessera dei Giovani Democratici dell’anno scorso c’era scritto uno slogan: “E se oggi toccasse a te cambiare la Storia?”.
Col senno di poi, tenendo conto dei GD da noi eletti in parlamento e di quello
che hanno fatto, bisognerebbe scrivere “E
se oggi toccasse a te NON cambiare la Storia?”. O cambiarla in peggio. Li
ho sempre difesi, soprattutto da chi dava loro dei “giovani vecchi”. Ora lo
posso dire: mi sbagliavo. Anche la giovanile ha un problema, sia nella
dilettantesca incapacità della sua dirigenza, sia nell’ottusità di gran parte
dei suoi elementi di punta. Un gregge, un branco che agisce come un sol uomo,
tanti piccoli fan e idolatri, generalmente di D’Alema. In alcune cose, duole
dirlo, aveva ragione quel gran figlio di puttana che si spacciava per la De
Carli, quando parlava dei “dalemasessuali”. Lasciando stare che il finto De
Carli era un piccolo fan renziano, quindi in nessun modo migliore. Ma è proprio
questo il punto. Siamo schiacciati tra i dalemasessuali, i renzisessuali, i
grillosessuali e i berlusconisessuali. Anche quelli che a parole sono contro la
leadership, contro il personalismo della politica, alla fine sono solo dei
piccoli fan cresciuti male che si spellano le mani quando ascoltano le parole
del loro leader. E per chi vuole imparare ad essere un eterno secondo, c’è
sempre la variabile orfinisessuali.
Alla
fine le motivazioni sono semplici e banali: non mi fido più. Non mi fido più di
voi, e la colpa in realtà è mia. È colpa mia che mi sono fidato di voi in
passato troppe volte, è colpa mia che vi ho delegato troppe decisioni, è colpa
mia che non ho fatto sufficienti critiche (e in pubblico) quando avrei dovuto
farle, è colpa mia che ho votato voi e quelli che mi suggerivate, è colpa mia
soprattutto perché io sono come voi. Io non sono innocente. Io ho chiuso un
occhio fin troppe volte: a volte, ne ho chiusi due. Sono parte integrante del
sistema. Ho detto e fatto cose di cui non vado fiero. Ho preso posizioni che
non avrei preso se mi fossi affidato interamente alla mia coscienza. Ma prima
pensavo che ne valesse la pena. Ora non più. Eravate sempre così, voi? Sì,
forse sì, anzi sicuramente sì. Ero troppo sciocco per accorgermene oppure ho
fatto finta di niente? Chissà. Ogni vostra posizione ormai per me è sospetta,
ogni vostro credo, ideologia, sentimento. Tutte cose che magari tra un mese
rinnegherete, tutti pensieri ed opinioni che tra un mese negherete di aver
avuto. Ribelli oggi, restauratori domani. Dalla parte del cambiamento oggi,
dalla parte della conservazione domani. Vi ho visti ridere insieme a persone
che odiavate, vi ho visti pugnalare alle spalle persone che si fidavano di voi,
vi ho visti essere amici di persone un anno, nemici acerrimi l’anno seguente,
di nuovo amici l’anno dopo ancora. E la cosa terribile è che ho fatto
altrettanto. Io sono come voi, ma non voglio più esserlo, non posso più
esserlo, è chiaro che a me fa meno bene di quanto lo faccia a voi.
Io
sento forte dentro di me la responsabilità di questa situazione. Io vi ho
votati, io vi ho sostenuti, ho dato tempo, denaro ed energie per voi, ho perso
amicizie per voi, ho perso la fiducia dei miei conoscenti per voi. Io insieme a
molti altri: vi abbiamo fornito le armi con cui voi avete sparato a voi stessi
e a tutti noi. Mi sento responsabile di questo, come il dottor Frankenstein
quando scopre che la sua creatura si è rivoltata contro di lui ed è un pericolo
per tutti. Quando contribuisci a creare un grande male, è tuo dovere cercare di
contribuire a distruggerlo, no?
Vi
conosco. Percepisco l’aria sprezzante, la spocchia, il disprezzo, nei vostri
sfottò nei confronti di chiunque parli de “i 101” (per esempio). Ho preso atto
della vostra difesa a posteriori, del vostro revisionismo storico su Marini. Ma
io ricordo cosa avete detto (e fatto) all’epoca. Potete ingannare la maggior
parte delle persone, forse, ma non me. E nel vostro atteggiamento c’è la stessa
falsità, la stessa ipocrisia, ma anche la stessa cialtronaggine che hanno
portato al caos di quegli orribili giorni di Aprile. Siete parte del problema,
non della soluzione. E siete giovani, il che vuol dire che sarete anche le
future classi dirigenti. Il che rende il partito irriformabile. A meno che
altri giovani, ma anche qualche non giovanissimo non prenda in mano la
situazione. Un qualcosa di inaspettato, qualche sommovimento, un po’ di caos,
una sorta di ribellione interna, che porti a risultati inaspettati. Non ho
pazienza né tempo di aspettare i “giovani” 40enni del futuro che cercheranno di
fare contro di voi (ormai 50enni o 60enni al potere) una battaglia
generazionale, probabilmente fallendo. Un mio amico una volta disse: “Il peggior prete è il prete più bravo,
perché è l’eccezione che conferma la regola, distogliendo l’attenzione dalle
cose peggiori della Chiesa e anzi giustificandole con la sua sola esistenza, e
permettendo loro di continuare ad essere”. Ecco: i militanti migliori del
PD hanno fatto la stessa cosa: sono stati un alibi perché la dirigenza peggiore
andasse avanti. Non è stata abbattuta la dirigenza perché si temeva di nuocere
a quei militanti: “Ok, i capi fanno
schifo, ma guardate loro! Guardate la base, quanto è pura, onesta, ingenua e
buona! Diamogli fiducia! Facciamolo per loro!”. Sono stati un paravento. Ma
i peggiori sono i migliori anche perché i migliori parlano bene, sono
ragionevoli, ma molti di loro, molto semplicemente, sanno solo mentire molto
meglio. “I dirigenti mentono, sempre,
anche quando non sarebbe necessario”, diceva Enrico Berlinguer a un giovane
Massimo D’Alema, a Mosca. Non solo i dirigenti alti, anche quelli con un potere
misero. E non solo loro, anche i militanti. Anche, e soprattutto, a se stessi.
Capitolo 13: Come imparai ad amare Facciadicazzo
Re
Giorgio il Tiranno, l’uomo che invece di dimettersi ha nominato 10 saggi per
imporre il programma della BCE alla faccia del messaggio dato dal voto degli
italiani, l’uomo che ha imposto Monti, il principale difensore e garante delle
politiche liberiste dell’Europa più conservatrice, getta subito le basi per il
Governo Letta delle larghe intese con Berlusconi, come era prevedibile.
Fassina, Orlando e Franceschini, i rinnegati traditori, sono prontamente
premiati con incarichi di governo.
Poco
dopo i fatti di Aprile, un mio amico Renziano mi invia un messaggio privato,
dicendomi sostanzialmente che ora spera che i Turchi e i Renziani facciano
fronte comune per scalzare finalmente questa fallimentare classe dirigente del
Patto di Sindacato. Come ai tempi di Natta e Occhetto. In quel momento, però,
io sono nel pieno della fase che perdura tuttora, solo che in quel momento è
nella versione aggressiva, quindi dico qualcosa come: “Ma che fanno Turchi e Renziani, tanto sono tutti uguali! Napolitano lo
hanno votato tutti! Altro che i 101 traditori, io voglio sapere chi sono i 20
eroi che non hanno votato per lui!”. Il mio amico ormai mi conosce bene, sa
come sono in quei momenti. Ma quando il momento passa, rifletto: non è solo un
pensiero isolato, non è solo la speranza di pochi. È chiaro che molti stiano
lavorando per giungere a quell’esito. Il nuovo patto generazionale degli ex
rivali. Troppo poco, troppo tardi, però. Per colpe presenti in entrambi gli
schieramenti, senz’altro. Io, ovviamente, ce l’ho di più con “i miei”: Matteo
Orfini, l’amore di una vita, l’uomo che non è manco riuscito a creare un
mini-gruppo solido, come poteva cambiare il partito quando non è riuscito manco
a gestire la sua pseudo-corrente? Eppure per queste persone Renzi rappresenta
una sponda fertile, una buona occasione per sopravvivere. Quando non hai il
coraggio o la forza, aggrappati a coraggio e forza di qualcun altro. E questa è
la storia di come la pseudo-sinistra del PD resuscitò Renzi sperando di usarlo
come utile idiota, per poi lamentarsi e frignare quando Renzi decise di non
stare al suo gioco.
Il
primo sdoganamento ufficiale avviene già ad Aprile, per mano del signore
assoluto, Massimo D’Alema. La ben collaudata tattica dalemiana dell’abbraccio
mortale, anche solo per disinnescare una potenziale minaccia. D’Alema va a
trovare Renzi a Palazzo Vecchio, ci parla amabilmente, manda un messaggio a
Bersani: è stato un errore escludere Renzi dalla lista dei grandi elettori per
il Quirinale. Dando sostanzialmente ragione ai vittimismi dei renziani che se
ne lamentavano da giorni, peraltro non si sa bene a che titolo.
E si
continua: Matteo Orfini, a fine giugno, sentenzia e rassicura: “Renzi? È diventato di sinistra come noi!”,
lodando il lavoro del nuovo consigliere economico renziano, Yoram Gutgeld.
Il
tutto mentre Fassina vagheggia accordi con la Lega, boccia Rodotà perché i suoi
cognati non lo conoscono, si fa fare foto sorridenti con Brunetta, da lui molto
apprezzato, si dice intristito dalla condanna a Berlusconi perché nel PdL c’è
gente molto competente, loda le larghe intese che prima aveva sempre
condannato…e, infine, sancisce la fine di “Rifare L’Italia”. Una fine che non
ci sarà, dato che in seguito si farà finta di niente in nome di una finta unità
e della solita ipocrisia.
Nasce
poi la corrente dei bersaniani, la corrente della classe dirigente del PD che
per prima ha la responsabilità di tutto quel che è accaduto: Bersani, Franco
Marini, Geloni, Di Traglia, Epifani (nel frattempo divenuto nuovo segretario),
Errani, Migliavacca…tutti in fila, che gentili a radunarsi tutti insieme nello
stesso posto. A loro si aggiunge un insospettabile Reichlin (ancora mi chiedo
perché l’abbia fatto) e, per l’appunto, Fassina, un tempo ritenuto “troppo
radicale” dai bersaniani moderati ed ora divenuto invece il loro principale
frontman. E poi, certo, ci sono alcuni sostenitori romani, quelli che dopo aver
distrutto il PD Roma tra disorganizzazione ed elenchi degli elettori sfruttati
dai capicorrente e dai signori delle preferenze per mandare mail, telefonate ed
sms in tempo di primarie e regionali, se ne sono scappati in Parlamento
lasciando il partito romano ancor più nel caos. Il documento prodotto da “Fare
il Pd” ha un solo, vero messaggio: “Bersani
non ha colpe, Bersani non ha sbagliato niente, è colpa di altri”. Documento
molto criticato da Orfini stesso, peraltro.
Il
problema vero è un altro. Orfini e i “turchi” rimanenti fanno sì delle critiche
doverose alla miopìa della dirigenza, ma in maniera goffa: dei veri e propri
boomerang. Sia Orfini che Raciti che Cundari ripetono la stessa cosa, quando
parlano della sconfitta elettorale: il problema, per loro, non è stato
semplicemente quello dell’impostazione della campagna elettorale, bensì l’aver
immaginato una realtà che non esiste. La cosa ironica è che questa è la stessa
cosa che dicono i renziani, ma per motivi diversi. Invece di far notare le idee
che c’erano, portate avanti da loro, tra l’altro, che erano all’interno della
segreteria, fanno passare il messaggio che non ci fossero proprio idee, o che
fossero sbagliate. Proprio come fanno alcuni renziani quando sostengono che
Bersani ha perso perché troppo “di sinistra”, troppo legato alla difesa del
lavoro o alla critica dell’Agenda Monti. Quello dei Turchi è uno smarcarsi da
Bersani che non è un vero smarcarsi: un errore fatale. Stanno candidamente
ammettendo che non avevano un programma elettorale- Questo invece di dire
quella che sono convinto essere la verità: ossia che ce l’avevano, ma che
Bersani è stato miope e non li ha ascoltati, preferendo cedere alle sirene dei
montiani e alla tentazione di scimmiottare i renziani. I Turchi si danno la
zappa sui piedi da soli, sminuiscono il loro stesso, paziente lavoro nel corso
degli anni. Non si rendono neanche conto che così facendo hanno deciso di
affondare insieme a Bersani. Questa critica-non-critica non solo sarà un
autogol, ma sarà anche abbandonata in seguito. Perché a un certo punto succede
qualcosa. Renzi, effettivamente, si sposta più a sinistra: va a dire in giro
che Zingales e Ichino sono superati, predica l’adesione del PD
all’Internazionale Socialista e al PSE, cosa che neanche i Turchi han mai fatto
così nettamente. Per quanto mi riguarda, questa è la prova che la mia battaglia
con GD e Turchi non è stata vana: anche se Renzi stesse facendo questo per
calcolo, il fatto stesso che oggi sia più “vantaggioso” anche solo spacciarsi
per “socialdemocratico”, mentre ieri era visto come il male più assoluto,
dimostra che siamo riusciti a spostare l’asse del partito più a sinistra. A
questo punto, però, Renzi decide di giocarsi il tutto per tutto: sceglie di
candidarsi alla segreteria del PD. Questo scardina tutti i piani di Orfini e
D’Alema: ok appoggiarlo alla premiership, ma addirittura la segreteria del partito
no. Chi l’avrebbe mai detto che lodando e appoggiando uno con il suo ego, poi
questi non avrebbe deciso di fare “asso piglia tutto”, eh?
Comincia
quindi un’ennesima giravolta del baffuto ex Maestro Sith e del suo barbuto ex
allievo: Renzi torna ad essere il nemico, torna ad essere di destra, torna ad
essere “subalterno al trentennio liberista anni ‘80”, in una triste replica
delle polemiche delle primarie del 2012. La gente però non è cretina, e si
stanca presto del solito refrain. Arrivano poi polemiche più sottili: “Non ci sono le bandiere di partito!”,
dicono. Non solo ci sono (più che nel 2012 di sicuro), ma sottovalutano il
fatto che in questo caso Renzi ha deciso di vincere portando dalla sua il
corpaccione di militanti del PD: e sono proprio iscritti e militanti del PD
quelli che applaudono Renzi alle Feste dell’Unità. Tragica sottovalutazione e
negazione del problema. Altra sottile polemica: Orfini dice che è sbagliato che
il segretario faccia anche il candidato premier, perché dovrebbero essere due
ruoli divisi. Molto bene. Peccato che sia stato proprio Orfini, in un passato
recente, a dire l’esatto contrario. È novembre del 2012, Bersani ha annunciato
che al prossimo congresso “La ruota
girerà”, ma a sorpresa Orfini non è d’accordo: “Se Bersani sarà premier, al congresso di ottobre 2013 dovrebbe rimanere
segretario lui”, dice. Perché? Perché per Orfini è giusto che il premier e
il segretario abbiano la stessa linea, e il modo più semplice per farlo è unire
i due ruoli: “Separare leadership e premiership
è stato un errore in passato, basti pensare ai governi Prodi e D’Alema”,
spiega il giovane turco. Si dirà, nelle segrete stanze, che Orfini in realtà
non pensasse davvero a quel che ha detto, ma che l’abbia detto per evitare che
avvenga quel che si mormora nei corridoi: ossia che il segretario dopo Bersani
sarà un Dario Franceschini Bis. Orfini avrebbe molti modi per scongiurare ciò:
dichiarare che è giunta l’epoca di una nuova generazione, che sarebbe il caso
che ci fossero facce nuove e non ex segretari…invece no, si inventa questa
genialata. Indice di due cose: lo scarso coraggio, perché si pensa a tattiche
del “dire - non dire” piuttosto che a mettersi in gioco a viso aperto, e in
secondo luogo l’ipocrisia, perché si dice ciò che non si pensa e solo per
inviare messaggi. Trucchi appartenenti al passato, alla vecchia politica,
quella peggiore. Insomma, anche la critica principale a Renzi perde di
fondamento, almeno per chi ricorda le giravolte di Orfini. E qui abbiamo un
Renzi sdoganato dalla sinistra PD che ha deciso di scalare il PD senza porsi
come corpo estraneo rispetto al partito, bensì come parte integrante di esso.
Non c’è storia, l’hanno capito tutti: vincerà lui le primarie. Le vincerà
perché ha imparato la lezione del passato, le vincerà perché è cambiato e non è
lo stesso di un anno fa, le vincerà perché ha capito che il partito e i suoi
militanti non sono il nemico ma sono anzi preziosi alleati, le vincerà perché i
suoi avversari si sono suicidati, le vincerà perché il popolo del centrosinistra
è così disperato che qualsiasi scossone è preferibile alla paralisi e alla
palude attuale, persino lui. Ma le vincerà.
Capitolo 14: Il candidato peggioVe
Una
volta accettato che Renzi è il vincitore designato, resta però da fare il
congresso. Il gruppo dirigente è capitanato dal segretario apocrifo Epifani,
messo lì perché gode della fiducia di Bersani, è espressione del cosiddetto
tortello magico, il cerchio di potere bersaniano, e serve da collante con la
Cgil per evitare che esploda e che il PD perda l’appoggio di un importante
sindacato. Epifani e soci tentano in tutti i modi di rimandare il congresso,
poi cercano di chiuderlo, magari togliendo le primarie o con regole ancora più
complicate di quelle dei passati congressi, il tutto tra le proteste di quelli
che al momento sembrano essere i candidati in campo. Ma chi sono i candidati? A
parte Renzi, c’è Gianni Pittella, oscuro europarlamentare della Basilicata alla
ricerca di qualche percentuale per poi battere cassa, come le regole della
peggiore politica insegnano.
Subito
dopo c’è Giuseppe “Pippo” Civati, la mia antica nemesi, che per la prima volta
ha deciso di portare avanti quanto promesso: invece di fare l’eterno secondo
violino, invece di fare l’eterna promessa mancata che si sfila all’ultimo
secondo, stavolta si è giocato davvero il tutto per tutto, candidandosi prima
di tutti gli altri sfidanti alla segreteria del PD. La cosa ironica è che ultimamente
è uno dei pochi con cui mi trovo d’accordo nell’ultimo periodo. Uno dei pochi
ad essere stato coerente con le promesse: no a Marini, sì a Prodi, no a
Napolitano, no alle larghe intese del Governo Letta. Gli altri, evidentemente a
disagio nel dover spiegare e giustificare il loro voto per le larghe intese,
cercano di buttarla sulla disciplina, chiedendo le sue dimissioni (compresa
Debora Serracchiani, sempre dalla parte del vincitore: questo è un monito per
chiunque si sia fatto ingannare in buona fede da quella donna, e non sono
pochi) perché vota “in maniera difforme dal partito”. Divertente: criticavano i
parlamentari grillini per la loro fede cieca nel Capo, per il loro votare come
veniva loro ordinato, auspicavano gesti di autonomia da parte dei grillini (che
effettivamente ci sono stati: alcuni grillini dissidenti hanno votato per Grasso
e Boldrini, e si chiedeva e sperava che altri dissidenti votassero per
Bersani), ricordavano loro l’esistenza dell’Articolo 67 della Costituzione che
permette ai parlamentari di votare senza vincolo di mandato…e poi si tira in
ballo la disciplina quando qualcuno fa quel che loro non hanno avuto il
coraggio di fare. Il grillismo delle classi dirigenti PD, affascinante.
Come
se ci fosse ancora un gruppo dirigente degno di questo nome che abbia la
credibilità e l’autorità per stabilire una Linea. Come se non stessimo, dal 17
aprile in poi, al “liberi tutti”.
Detto
questo, è palese che Civati non ce la farà: dopo aver passato tanto tempo come
seconda fila e bastian contrario, come timido campione del “l’avevo detto io”, per
giocare ad armi pari con gli altri devi come minimo aver costruito qualcosa,
una struttura, una base: ebbene sì, un “apparato”. Cosa che a Civati manca, e
questa è una sua colpa ed un suo limite: non bastano i buoni propositi e un
messaggio accattivante per essere votato, se è chiaro che non entrerai mai in
partita. Per dirla come la direbbe Diego “Zoro” Bianchi: ma ‘ndo va, Civati?
Ironico, però: Civati ora fa il vecchio Orfini, Orfini ora fa il vecchio
Civati.
E poi
c’è Gianni Cuperlo. Uno che, anni fa, avrei anche visto bene come segretario:
una figura moderata e conciliante che avrebbe potuto unire le varie anime, una
personalità che aveva comunque un’idea della sinistra molto legata a quella dei
Giovani Turchi. Ma questo era anni fa, prima che il partito implodesse e che
fosse necessario un gesto di coraggio e discontinuità. La prima volta che lessi
il nome “Cuperlo” era nel 2009: in quanto avido lettore del blog del
sopracitato Zoro, mi ero messo a fare un bel ripassone di quel che aveva
scritto dal 2007 in poi. Cuperlo veniva citato in quanto vecchia conoscenza di Diego
Bianchi, in quanto politico possessore di un blog da tempi non sospetti e in
quanto voce apprezzata dallo stesso Zoro in quegli anni di veltronismo rampante
privi di guida e di linea. Bianchi ha conosciuto Cuperlo ai tempi della Fgci:
Diego ne era un iscritto, Gianni ne era il segretario nazionale, che a Pesaro
fece sciogliere l’organizzazione nella Sinistra Giovanile. Nell’epoca delle
Marianna Madia e Pina Picierno (le figurine massima espressione del nulla
veltroniano, se togliamo le figure inquietanti come Calearo e Binetti), Zoro
spiegava con queste parole il motivo per cui avrebbe volentieri votato un
Cuperlo o uno Zingaretti alla segreteria (o comunque ai vertici del PD): “Perché li ho conosciuti, perché sono persone
preparate, tutt’altro che sprovvedute, cresciute in una scuola di formazione
politica decisamente più affidabile delle tante in embrione oggi e che
tuttavia, nonostante la percezione comune, non sono più giovanissimissime.
Tempo fa auspicai un loro maggior coraggio nel proporsi e il momento pare
arrivato. Tifo anche per loro non perché siano giovani o giovanili, ma perché
sono bravi, presentabili, competenti, freschi, molto più della media, o della
Madia. Almeno oggi”.
Sempre
Zoro, però, si spazientiva per la mancanza di coraggio di un Cuperlo che
tentennava a prendersi il suo spazio: “Quand’è
che smette di ascoltare – scriveva –
e comincia a parlare? Infine un dubbio: avrà qualcosa da dire?”. Dal 2007
al 2009 Cuperlo è ancora visto come una giovane promessa. Mancata. Sarà
l’ultima occasione che lui e Nicola Zingaretti avranno: Nicola, nonostante il poco
coraggio e la paraculaggine che lo rende inviso a dalemiani e veltroniani (e
che lo farà sempre atterrare in piedi come un gatto), si farà comunque notare
come presidente della provincia prima e come presidente di regione poi, mentre
nel frattempo sarà inserito nel totocandidati a qualsiasi carica, da segretario
nazionale a premier a sindaco della Capitale. E Gianni? Gianni il triestino
dall’erre moscia sarà notato addirittura dal gruppetto di Luca Sofri, lo stesso
che poi pubblicizzerà senza troppo successo (almeno inizialmente) i vari Civati
e Renzi (eh, j’ha detto culo stavolta). Eppure Gianni perde la sua occasione:
sarà parlamentare, ma defilato, senza aver detto, fatto o prodotto nulla di
rilevante. E si creerà il suo habitat naturale, il “Centro Studi PD”, di cui la
maggior parte di voi non avrà mai sentito parlare: e un motivo ci sarà. Ah, è
stato anche molto vicino a D’Alema, ma per uno come me che non è (non del
tutto) affetto dalle malattie di dalemismo o antidalemismo, questa cosa non fa
né caldo né freddo.
Cuperlo
è anche, in teoria, uno dei cosiddetti “Giovani Turchi”, il gruppo “Rifare
l’Italia”. In teoria, perché oltre alla diarchìa Orfini-Fassina, il terzo “big”
è ritenuto essere Andrea Orlando. E lo stesso Orlando è molto ambiguo,
opportunista, vago e defilato: eppure, pur non avendo detto o fatto nulla in
particolare manco lui, risulta più conosciuto di Cuperlo, nel mondo dei Turchi.
Cosa ha detto o fatto Cuperlo, nel suo periodo in Rifare l’Italia? Niente,
assolutamente niente. Ad andare alle manifestazioni della Fiom, a criticare il
modello Marchionne e a difendere l’articolo 18, a prendersi fischi e insulti da
una parte e dall’altra, a beccarsi una fatwa su Repubblica e sui blog
dell’Espresso, a farsi fare le pulci al curriculum da parte di blogger
renziani, a farsi sfottere su video di youtube e sui social network, a ricevere
richieste di dimissioni…sono Orfini e Fassina. Non Gianni Cuperlo, che non si
espone mai e non si sporca mai le mani. Ed ora è Orfini che sceglie di non rischiare
in prima persona, stavolta. Mandando avanti al suo posto Gianni Cuperlo: una
mera battaglia di testimonianza, non la battaglia di qualcuno che vuole davvero
sfidare la sorte e vincere. Un mero calcolo da correntina triste, una mera
scaramuccia per coltivare il proprio orticello: tutto per accaparrarsi qualche
percentualina al congresso e poter così sopravvivere. Niente di davvero
coraggioso: si è scelto di arrendersi, il congresso è palesemente una farsa.
E poi
c’è (o meglio, non c’è ancora, ma tutti ci aspettiamo che prima o poi spunti
fuori) il quinto candidato: l’impresentabile. Lo sapevamo tutti: uno sarebbe
stato per forza il candidato invotabile, il candidato peggiore. Il candidato
con la benedizione di Bersani e del suo “tortellino magico”, il candidato di
Epifani, il candidato che vuole chiudere la partecipazione, il candidato del
gruppo “Fare il PD”, il candidato che difende le larghe intese, il candidato di
Letta, il candidato dalla parte di chi salva Alfano per la questione kazaka e
che salva la Cancellieri per la questione Ligresti. Qualcuno pensa che possa
essere Epifani, qualcun altro pensa a Fassina, qualcuno si azzarda addirittura
a pensare a Letta. L’unica cosa chiara è questa: la “bad company” sta pensando
ad un suo candidato, la cosa principale è smarcarsi dal suo bacio della morte. C’è
anche un altro nome che si mormora, il sesto candidato, il secondo candidato
che non c’è, l’unico che potrebbe davvero unire il gruppo “a sinistra” del PD
(i “socialdemocratici”) contro la proposta di Renzi, l’unico che avrebbe
davvero l’autorevolezza per farlo, l’unico a star ragionando su una proposta di
riforma seria dello strumento partito e del suo rapporto con paese e governo,
il giusto anello di congiunzione tra società civile e partiti, tra ulivismo e
partitismo: Fabrizio Barca. Civati e Cuperlo si dovrebbero ritirare dalla
partita, unendosi e appoggiando entrambi un nome terzo, quello di Barca. Civati
è stato il primo a candidarsi, vuole sfruttare il momento favorevole, ma del
resto dove va da solo? Se ci fosse una proposta forte sarebbe il primo a
ritirarsi. I turco-dalemiani, invece, ridono con strafottenza all’idea: ma si
sa, loro sono i geni della politica, loro sono quelli che la sanno lunga, loro
sono quelli che non hanno mai perso un congresso. Già già. Nel frattempo hanno
deciso di lanciare in pompa magna la candidatura di Cuperlo, fingendo con la
solita ipocrisia che sia un nome forte e spendibile, in questa fase politica.
Ed ecco che tutti quelli di due aree ben definite (i turchi e i dalemiani,
giovani o vecchi che siano, nei GD e nel PD), come scimmie ammaestrate,
ripetono il mantra: #megliocuperlo. Tutti incredibilmente entusiasti, tutti che
a prescindere hanno già deciso chi votare. Perché? Esiste forse un programma,
un documento congressuale? Si è fatta forse una riflessione? No. Perché, molto
semplicemente, Orfini e D’Alema hanno dettato la linea, e gli altri
zelantemente obbediscono. Ordini di scuderia, indicazioni di corrente. Non è
politica. È posizionamento.
Sia
nel PD che nei GD non è stata fatta un’analisi di quel che è successo tra
febbraio e aprile (o anche prima, in campagna elettorale, e dopo, nei voti sui
provvedimenti delle larghe intese). Questo stesso post-fiume, del resto, non l’avrei
manco scritto se ci fosse stata una riflessione franca sul tema. Non c’è stata
discussione. Non dico un’autocritica, ma neanche un tentativo di riflettere su
cause e conseguenze. Non dico tanto il riconoscere gli errori e i problemi, ma
neanche cercare una linea per risolverli e per andare avanti, all’attacco. E
invece no, c’è un clima di diniego, di rimozione, negazione. Non è successo
niente. È colpa degli altri, è colpa degli italiani che votano Berlusconi, è
colpa di Monti che non si è alleato con noi, è colpa del Movimento 5 Stelle che
ci ha tolto voti e che è pieno di irresponsabili dilettanti con la bava alla
bocca. È colpa di chi ha tradito Bersani, che ha gestito tutto così bene. È
colpa di chi non ha votato Marini. E quest’ultima cosa la dicono proprio quelli
che per primi si erano scagliati contro Marini, all’epoca, e persino molti di
quelli che non l’hanno votato manco in Parlamento. Non è solo una rimozione
delle colpe e di una riflessione a riguardo, è proprio una rimozione del senso
del ridicolo. Revisionismo storico, negazionismo. E se oggi toccasse a te cambiare (retroattivamente) la Storia? Alla
Festa dell’Unità di Roma, Bersani viene accolto dai militanti con un’ovazione,
con striscioni che lo ringraziano, con le urla “C’è solo un Segretario!” (sarà stato contento Epifani, che del
resto era solo una propaggine di Bersani messo lì a guardia del fortino). Va
tutto bene, madama la marchesa. Facciamo finta che tutto va ben.
Alla
fine, Barca conferma che non si candiderà: in fondo è nel partito da poco
tempo, si è tesserato pochi mesi fa, sarebbe un gesto sbagliato e arrogante se
l’ultimo arrivato si alzasse in piedi e si candidasse a cambiare e migliorare
tutto. Una scelta seria, ragionevole e responsabile, che me lo fa piacere ancor
di più, ma che allo stesso tempo mi lascia privo di riferimenti politici
credibili. E alla fine, arriva la pietra tombale sulla candidatura di CupeVlo:
l’ultimo chiodo sulla sua bara. La linea del “Bersani non ha colpe, puntiamo
tutto sull’antirenzismo” diventa egemonica in una parte del partito: gli altri,
mestamente, eseguono. Il tutto nasce quando i topi abbandonano la nave che
affonda: Franceschini e altri potentati locali abbandonano Bersani e vanno da
Renzi. Parte dei 101, parte del patto di sindacato, cerca di sopravvivere
salendo sul carro del vincitore del Grande Rottamatore. Il loro appoggio non
conterà più di tanto: fateci caso, alle primarie del 2012 Renzi ha preso gli
stessi voti di Franceschini nel 2009, praticamente. E questo nonostante
Franceschini appoggiasse Bersani: “chi appoggia chi” conta poco ormai, il Patto
di Sindacato non ha più voti. I vari Bindi, Fioroni e Franceschini forse
possono contare solo nei congressi con i loro pacchetti di tessere, semmai, ma
alle primarie non hanno un voto, i loro voti li aveva tutti cannibalizzati
Renzi. Ma la cosa fa comunque arrabbiare la parte del Patto di Sindacato
(termine che preferisco ad “apparato”: gli apparati, infatti, servono in
qualsiasi struttura ed organizzazione, secondo me) e dei 101 che ancora è in un
abbraccio mortale con Bersani. La paura di Renzi è tale che spinge diverse
parti, diverse tra loro come il giorno e la notte, ad unirsi. Ed ecco Stefano
Fassina, il Fassina delle larghe intese, il Fassina rinnegato neo-montiano, il
Fassina che abbraccia la Lega e Brunetta, il Fassina de “Rifare l’Italia non
esiste più”, sì, proprio quel Fassina lì…che dichiara pubblicamente l’appoggio
a Gianni Cuperlo. E Orfini gongola e rilancia l’annuncio di Fassina, tutto
contento, invece di mandarlo a fanculo come meriterebbe. Di cosa ci sia da
stare allegri, non si sa. Dopo la sconfitta, Orfini criticherà l’eterogeneità
della coalizione cuperliana: eccerto, sono buoni tutti, dopo. Ma è chiaro che
Orfini l’aveva capito sin da allora quale fosse il problema. Ha semplicemente
fatto finta di niente. L’ennesimo, tragico, imperdonabile errore dei miei
vecchi amori politici.
Segue
quindi l’appoggio di “Fare il PD” e il bacio della morte di Bersani. È così che
il candidato invotabile diventa Cuperlo. E guardate che stavolta D’Alema non
c’entra niente. Alcuni renziani, i più antidalemiani, la vedranno così: la
sfida storica contro D’Alema. Lo stesso Renzi gioca con questa lettura, perché
gli fa comodo avere come avversario Massimetto: è un simbolo, del resto. Ed è
colui che “non aveva mai perso un congresso prima di allora”. Ma sia Renzi sia
D’Alema, penso, essendo entrambi molto furbi, molto intelligenti e più simili
di quanto non ammetteranno mai, sanno benissimo che non è per quello che la
gente non ha votato l’aristocratico intellettualoide triestino biondo con gli
occhi azzurri. Cuperlo ha scelto di essere (o, senonaltro, di essere percepito
come) il candidato di Letta, il candidato di Bersani/Errani/Migliavacca, il
candidato di Epifani, il candidato della classe dirigente che ci ha portato
alla sconfitta, il candidato dell’apparato peggiore: quello fallimentare. E
poco importa se Franceschini, l’altra parte del patto di sindacato, è passato
con Renzi insieme a gran parte degli apparati locali. Poco importa se i
corresponsabili della sconfitta attuale (o i responsabili della sconfitta del
2008: sì, Veltroni, ce l’ho con te) sono scappati su lidi sicuri, poco conta se
i topi abbandonano la nave che affonda e salgono sul carro del vincitore. Alla
gente non importerà. Conterà solo, caro carissimo Gianni, che tu stai
appoggiando e difendendo la classe dirigente che ha creato questa situazione.
Tu difendi e sdogani la classe dirigente che ci ha portati a questa Caporetto,
questi dirigenti, questi generali Cadorna che hanno le colpe anche dei loro
collaboratori, sì, perché potevano sceglierne altri, scegliere di non farsi mal
consigliare, scegliere di non farsi condizionare dagli altri membri del patto
di sindacato, e invece hanno scelto di no. Lo dice anche Cundari nel Manuale
del Giovane Turco: “Se il leader si
circonda delle persone sbagliate, è sbagliato il leader”.
Per
l’elettore medio delle primarie conterà che un voto a te è un voto per questa
fallimentare classe dirigente, un voto per la loro sopravvivenza. È un voto che
GIUSTIFICHERÀ i loro errori, il loro non aver fatto la benché minima
autocritica. Quale amara ironia della sorte: dopo anni ad aver fatto o chiesto
autocritiche per le cose più piccole e insulse, ora si evita di farle proprio
quando servirebbe. Evitò di farla Veltroni, evita di farla Bersani. Entrambi
accusano tradimenti, dopo aver tradito per primi ed essere stati i principali
artefici della propria caduta. Si parla tanto del cosiddetto tafazzismo della
sinistra, ovverosia del suo autolesionismo, del suo darsi le mazzate sulle
palle da sola. Molti spiegano che il tafazzismo è l’eccesso di autocritica, il
non volersi troppo bene di questo partito. In realtà la questione è diversa: il
tafazzismo è soprattutto la capacità di fare errori della sinistra, errori che
però nega a se stessa, evitando di fare analisi e di risolverli, superarli.
Errori che saranno quindi ripetuti in eterno. Le uniche critiche che si fanno a
sinistra, sono quelle di una parte verso l’altra, solo per fini di corrente e
di posizionamento, solo per danneggiare chi sta a capo del partito e prendere
il suo posto. Ma questo è normale. Diventa pericoloso quando queste critiche
occupano un vuoto: il vuoto di analisi e autocritica di chi sta a capo. Se ci
fosse una vera autocritica, non ci sarebbero le tante piccole critiche
strumentali delle opposizioni interne. E soprattutto, siccome non viene fatta
una vera analisi di quel che è successo, chiunque può inventarsi la sua
versione: “Bersani ha perso perché troppo
di sinistra!”, “Bersani ha perso per
il video degli smacchiatori sul tetto!”, “Bersani ha perso perché ha chiuso le primarie!”, “Bersani ha perso perché ha fatto le
primarie, perdendo tempo!”, e così via. Ognuno può dire la sua, ognuno può
inventarsi la motivazione migliore, quella che a lui fa più comodo.
Cuperlo
paga la difesa della Cancellieri, forse, ma paga soprattutto la mancanza di
radicalità, di rottura, di cambiamento. La mancanza di un messaggio forte. E
non basta, Cuperlo e Cuperliani, non basta dire “è tempo di crederci” a chi troppe volte c’ha creduto e troppe volte
è rimasto fregato. Non basta evocare “la
profezia della sinistra” per chi ha creduto a troppe profezie mai
realizzatesi e che ora non vuole più solo fidarsi o dare deleghe in bianco a
chi non è più credibile, a chi ha avuto fin troppe chance. Non basta citare
Guenassia quando dice “Quello che per
loro contava nella Terra Promessa non era la terra, era la promessa” a dei
militanti e simpatizzanti che si sono stufati delle vuote promesse mai
mantenute e che non vogliono più meri slogan, vogliono risultati concreti:
vogliono la fottuta terra, per una volta nella loro vita, quando il tempo passa
e iniziano a perdere i capelli. Perché avete fatto perdere l’ottimismo anche
agli incorreggibili ottimisti. Non basta dire stancamente, come un mantra, “Noi non siamo il volto buono della destra,
non siamo nati per correggere la punteggiatura della destra: noi siamo la
sinistra!” per avere il voto della gente di sinistra. Non basta definirsi
di sinistra per esserlo. Sei di sinistra? Dimostralo. Finora i risultati concreti
non sembrano molto di sinistra, anzi. E soprattutto basta, basta con questa
arroganza spocchiosa da puzzetta sotto il naso di chi si considera, sempre e
comunque, L’UNICO titolato a potersi definire di sinistra. Se perde Cuperlo non
perde la sinistra, casomai perde “una” sinistra. E non votare Cuperlo non vuol
dire non credere in alcune delle idee di sinistra che Cuperlo elenca. Vuol dire
che lui non è più un interprete credibile di quelle idee, vuol dire che il
gruppo che rappresenta ha tradito quelle idee delegittimandole, e ora quelle
idee andranno fatte vivere in un altro contenitore, andranno portate avanti da
altre persone, andranno addirittura, in certi punti, messe in discussione per
trovare una sintesi accettabile. Invece no: voi fate i superiori, siete gli
unici ad avere ragione, gli altri sono stronzi, brutti sporchi e cattivi,
oppure di destra. Molto bene. La “destra” ora vi fa il culo coi voti della
“sinistra”, scommettete?
E
così, puntualmente, accade: Renzi stravince. Cuperlo e i cuperliani fanno una
pessima campagna, una delle peggiori campagne congressuali possibili,
demonizzando Renzi, criticandolo per minuzie: oddio, contro Berlusconi ha usato
il termine “asfaltare”, violentissimo! Peccato che i Giovani Dalemiani abbiano
sempre usato quel termine, peraltro, a differenza di quest’ultima versione di Renzi,
nei confronti dei loro avversari interni…Inoltre ormai sono passati per essere
il candidato dell’establishment, dello status quo, di coloro che manco volevano
farlo, il congresso, o che volevano chiuderlo, il candidato delle larghe
intese. Attacchi da vera e propria macchina del fango, pieni di acredine,
assetati di sangue: i cuperliani sembrano tali e quali agli idrofobi renziani
con la schiuma alla bocca del 2012. Gli slogan sono vuoti (#belloedemocratico?
Wut?), in alcuni casi sono la brutta copia di quelli bersaniani, i cuperliani
si entusiasmano per risultati di “share” su internet, esattamente come facevano
i renziani nel 2012 (che infatti all’epoca hanno perso, giustamente). I
cuperliani hanno reso Renzi re, sono loro stessi causa del proprio mal. E ora,
tardivamente tornati sui loro passi, notano pagliuzze altrui senza notare le
proprie travi, i loro attacchi sono boomerang che si possono facilmente
rivoltare contro di loro. Ad esempio, se è vero che Renzi ora è appoggiato da
molti rottami, capibastone discutibili e riciclati, è doveroso far notare che è
un po’ ipocrita criticare solo ora certe pratiche. Ok: Bassolino, Loiero e De
Luca ora appoggiano Renzi, in Calabria e a Salerno ci sono tesseramenti
sospetti e un po’ troppi votanti, è uno scandalo. Giusto. Peccato che nel 2009
e nel 2012 Loiero e De Luca appoggiassero Bersani. Peccato che già all’epoca ci
fossero tesseramenti sospetti e numerosi voti in più rispetto al previsto.
Ricordo all’epoca le critiche che Marino (ma anche Franceschini) fece nei
confronti del dato campano e calabrese, che da solo bastava a dare una caterva
di voti a Bersani. All’epoca i bersaniani non dissero nulla (e quando chiesi
spiegazioni, suggerirono anche a me di non occuparmi di quisquilie simili) o in
altri casi difesero quelle persone: il fatto che SOLO ORA, siccome appoggiano
un altro, queste persone debbano essere attaccate, il fatto che solo ora i
bersaniani si siano svegliati e si siano resi conto che questo è uno scandalo,
a me suona falso e ipocrita, e sinceramente mi fa un po’ schifo. Non avete
fatto niente per cambiare la situazione, non avreste fatto niente manco
stavolta se avessero appoggiato voi: non siete credibili come accusatori, non
siete credibili come persone da votare per cambiare la situazione. E non solo
ora i vecchi capobastone non vanno più bene, ma avete tuttora dei personaggi
poco limpidi e poco presentabili che sostengono voi. La risposta che mi veniva
data era: “Eh, ma noi vogliamo dimostrare
l’incoerenza di Renzi che parlava sempre di rottamare gli apparati”. Ok, ma
allora qual è il messaggio che state mandando? Vi rendete conto che sembra che stiate
dicendo “Facciamo entrambi schifo:
l’unica differenza è che noi lo ammettiamo e lui no, quindi vota chi fa
coerentemente schifo invece di chi fa schifo ed è pure incoerente”? Vi
rendete conto che sembra che non stiate facendo campagna per convincere la
gente a votare voi, bensì per convincerli a non votare per lui? Un po’ come la
destra di Alemanno che alle ultime amministrative capitoline scriveva “Non votate Marino” piuttosto che “Votate Alemanno”: ormai avevano capito
che avrebbero perso e l’unica speranza era evitare che l’altro vincesse con
troppo distacco. Niente, non lo capiscono. E riescono a far passare in secondo
piano sia i difetti di Renzi sia i suoi imbarazzanti endorsement. E soprattutto
bisogna tenere conto che tutto questo accade quando Renzi e i renziani fanno
una campagna tranquillissima: i barbari feroci del 2012 sono solo un lontano
ricordo, niente attacchi, niente colpi bassi.
Cuperlo
perde e perde male: le sue percentuali sono paurosamente simili a quelle di un
Civati qualunque (Civati che tra l’altro nella Roma di D’Alema, di Orfini e dei
GD più dalemiani di tutti, è arrivato secondo dopo Renzi, relegando Cuperlo a
un inglorioso terzo posto). Le scuse degli sconfitti sono le solite: Renzi è
stato pompato dai media, Renzi è stato votato alle primarie da orde di elettori
di destra, ecc ecc. Peccato che la gente di destra avesse votato anche alle
primarie del 2012 (che hanno avuto pressoché la stessa affluenza). Peccato che
i media pubblicizzassero Renzi anche nel 2012, e molto più di adesso. Anzi:
ironia della sorte, oggi molti media sono molto più diffidenti nei confronti di
Renzi, specie quelli di destra. Panorama, ad esempio, ha iniziato una vera e
propria campagna anti-Renzi. E questo dovrebbe far riflettere renziani e
antirenziani: perché la destra puntava tanto su Renzi all’epoca? Perché lo
vedeva come un elemento per destabilizzare il PD, un “utile idiota”,
sostanzialmente. Perché ora la destra attacca tanto Renzi e sembra aver così
tanta paura di lui? Perché ora Renzi ha deciso di far campagna *nel* PD e non
*contro* il PD. Perché ora Renzi è espressione del PD, è votato da molti del
PD, una sua vittoria sarà una vittoria del PD. I tempi del “votiamo Renzi così facciamo il culo al PD”
sono lontani. Questo sia di lezione a Renzi stesso. Insomma, nel 2012 c’era
molta più destra a votare e molti più media a favore, eppure Renzi perse. Oggi
ha vinto. Perché?
Piaccia
o no ai renziani più destrorsi e ai cuperliani più avvelenati, Renzi ha vinto
non solo perché gran parte dell’apparato lo ha sostenuto (un po’ come a
Veltroni nel 2007, togliendo però il gruppo dalemiano e altri), ma anche e
soprattutto perché è stato votato, ebbene sì, da un elettorato di sinistra.
Sissignori, di sinistra. Un elettorato di sinistra deluso che ha ritenuto
Cuperlo in perfetta continuità sia con la classe dirigente fallimentare che ci
ha portato alla sconfitta, sia con le larghe intese di Letta. In continuità con
quella parte di dirigenza che ha tradito e deluso i suoi elettori e che,
soprattutto, è stata totalmente e tragicamente incapace di fare la benché
minima autocritica, facendo passare appunto in secondo piano quell’altra parte
di dirigenza che si è riciclata salendo sul carro del vincitore. E forse ora
sarebbe il caso che questa parte del partito, finalmente, chiedesse scusa. Ma
non lo fanno, non lo faranno. E questa è la cosa più triste di tutte.
Capitolo 15: E adesso che farai?
Mi
avete fatto votare Ciwati, io non so se questa ve la perdonerò, sapete?
Sì,
quel Civati lì: in questo blog troverete frotte di post contro di lui e il suo
fido Cosseddu. Post che non ho rinnegato. Mi hanno anche messo in lista
all’Assemblea Nazionale per Civati: io sono molto critico anche nei confronti
dell’Assemblea, ritenendolo un organo mal funzionante, ma era comunque un
servizio e un onore, tant’è che il mio segretario (cuperliano) ha dato
felicemente l’ok quando gliene ho parlato. Tanto ero in posizione ineleggibile
(sì, fa molto “la volpe e l’uva”, me ne rendo conto).
Che
accadde, quindi? Fino all’ultimo o quasi, ero tentato fortemente di astenermi,
ma mi dicevano che sbagliavo, che non potevo abdicare all’opportunità del
congresso, che dovevo fare una scelta. Ma quale? Di Cuperlo ho parlato
ampiamente, Pittella era una conta di una correntina sfigata, ossia l’opposto
della politica. Renzi? No, non l’avrei mai fatto: per carità, aveva cambiato
linea rispetto al 2012, ma continuavo a non fidarmi di lui. Bravo, sei
migliorato, ma per carità, deleghe in bianco preferisco non dartele, specie se
hai già i voti necessari per vincere da solo. Oltretutto alcuni dei renziani
hardcore erano ancora in pista: un voto a un loro candidato non gliel’avrei mai
dato. MAI. Per non parlare di Franceschini e di tutti i vergognosi riciclati
alla corte di Renzi. Stefano Bonaccini, uno che riusciva a perdere contro Renzi
in Emilia Romagna? Pina Picierno, l’oca giuliva cocca di De Mita che sognava di
fare il ministro ombra? Marianna Madia, la specialista nel salto da una
corrente all’altra, la figurina veltroniana che si vantava della sua straordinaria
inesperienza? Cresciuta, per carità, tant’è che tra i riciclati mi arrischierei
a dire che è la meno peggio. E poi la Serracchiani, la donna di corrente e di
apparato che si riesce sempre a spacciare per donna della società civile, la
donna che cade sempre in piedi, quasi quanto uno Zingaretti ma con un grado di
arroganza, ipocrisia, falsità e sgradevolezza molto maggiore. La donna delle
numerose false partenze, la donna che chiedeva le dimissioni di chi osasse
votare contro Letta. La peggiore, che i gonzi ancora credono essere la
migliore. Poveri ingenui. Quindi no, neanche Renzi. Anche perché diciamocelo,
il suo programma potrebbe anche piacermi, se lo mantenesse per almeno una
settimana. E invece cambia opinione e posizione un po’ troppe volte: va bene
che “cambia verso”, Renzi, ma non una volta al giorno, eccheccavolo!
Civati?
Sentivo di non poterlo votare. A parte l’antico odio nei suoi confronti, uno
che come slogan ha “civoti?” e che ha delle pagine fan chiamate “Juventini per
Civati” e “Gattini per Civati” io non lo potrei votare, per principio. Poi è
quello che ha dato la sua solidarietà a Martina De Carli: per carità, manco
aveva capito chi era, e del resto lei era una creatura tutta renziana, ma
restava pur sempre una macchia sulla sua carriera. Eppure m’era praticamente
rimasto solo lui. Era cambiato, del resto: per una volta si era messo in gioco
dall’inizio alla fine, senza brusche retromarce. Per una volta non era ambiguo,
ma era chiaro e coerente con se stesso. Insomma, non era lo stesso Civati del
2009-2012. E non era colpa mia se era uno dei pochi a dire e fare le cose
giuste in quel momento, non era colpa mia se era quasi l’unico parlamentare che
manteneva l’impegno preso con i cittadini a fine 2012, l’unico che faceva le
cose che mi sarei aspettato da un parlamentare del PD, l’unico che la pensava
come me, l’unico da cui mi sentivo rappresentato. Poi è arrivato “il segnale”:
ad appoggiarlo è arrivato prima Walter Tocci, altra persona da cui mi sentivo
degnamente rappresentato (decisamente più di Civati: al diavolo l’età, magari
avessi potuto votare lui al congresso!) e poi anche Fabrizio Barca, l’altro mio
candidato segretario ideale (e futuro?). E mi sono reso conto anche di non
essere solo: nei militanti del PD, ma anche della Giovanile, c’era stato un
totale rimescolamento. Molti elettori di sinistra ex bersaniana, ex dalemiana,
molti ex “giovani turchi”, ora avrebbero votato per Civati. Il tutto mentre i (quasi/pseudo)giovani
dalemiani più estremisti, incattiviti e caduti in disgrazia, dicevano
addirittura che quella di Civati era una mozione di “estrema destra”, almeno le
volte in cui non lo spacciavano per un mezzo grillino o per un indisciplinato
che, da solo (!), aveva fatto saltare la geniale operazione Marini e che se la
prendeva con i poveri Cancellieri e Alfano.
Insomma,
ho fatto quel che dovevo fare. Sinceramente non me ne pento. Ma ora? Ora come
sto? Come mi sento? Cosa farò? Cosa voglio, soprattutto? Prima, forse un po’
melodrammaticamente ed esageratamente, ma convintamente, ho parlato della
cosiddetta “morte” di ciò che ero stato fino a quel momento, il 20 aprile. Da
cosa è stato sostituito, quello che ero?
Non
lo so, sinceramente. Sapete che c’è? Sono in una fase in cui non me ne frega
sostanzialmente un cazzo. Ora più che mai non ho più idoli, prendo quel che
accade così come viene. Guardo tutto dall’esterno, con aria più distaccata e
disincantata, sono meno coinvolto, il che mi farà pure comodo, qualora volessi
intraprendere un lavoro in campo giornalistico.
Soprattutto,
ho smesso di pormi diversi problemi: uno dei grandi drammi della sinistra,
specie quella degli ex DS (ma anche ex Margherita…insomma, degli “ex”) è che
non sanno scindere tra amicizia e politica. Le due cose devono necessariamente
coincidere, per loro. Questo vuol dire che se sei “nuovo”, saranno tuoi amici
finché la penserai come loro: il giorno in cui ti discosterai dalle loro
posizioni, la prenderanno come se fosse un fatto personale, come se fosse un
dispetto nei loro confronti, come una grave mancanza di rispetto per il lavoro
del “gruppo” (che poi sarebbe “il branco”), ti accuseranno di voler spaccare il
gruppo e infine ti isoleranno a poco a poco. Non tutti, eh, ma è un
atteggiamento diffuso. Se invece sei un “ex” come loro, le cose andranno nello
stesso modo, ma con molta più difficoltà: sarà molto raro che qualcuno metta in
discussione la posizione politica degli altri. Sarà duro anche rimuovere il
cordone ombelicale con loro: le correnti nascono anche da questo. Sono in
genere persone che da piccole andavano al liceo insieme, tutti al Mamiani,
tutti allo stesso bar di Prati a prendere il caffè, tutti nella stessa sezione
a giocare a biliardino. Sono tuoi amici di infanzia, come puoi andare contro
agli amici di una vita? E quindi il gruppo di amichetti diventa un sottogruppo
del partito: lealissimi tra loro, non altrettanto col resto del partito. Non
gliene faccio neanche una colpa. Ma è necessario che almeno “i giovani d’oggi”
evitino di entrare in quella mentalità. Questo è il mio testamento per loro. Si
dividano, lottino pure, si scontrino, si incazzino, si abituino a mettere in
discussione se stessi e gli altri, a diffidare delle guide (Brecht insegna), si
informino e si formino invece di limitarsi ad aspettare che sia il loro “senpai” a farlo per loro.
Ormai
ho scisso le cose, tanto che ho una fidanzata cuperliana (benché sui generis),
amici di ogni mozione, anche renziani, coi quali politicamente mi scanno sempre
(e dei quali in passato ho detto peste e corna, dai giudizi sull’aspetto fisico
a quelli etici e morali, ebbene sì). Ma il lato umano è un altro punto di
vista: ecco, il 2013 è stato un anno bello solo dal punto di vista delle
amicizie, specie tra la primavera e l’estate. Non sono più in guerra: l’unica
cosa che non tollero più è l’ipocrisia e la falsità. E quella, duole dirlo,
permane molto nell’ambito dei miei vecchi compagni di battaglie. Non tanto
nella mia sezione (altrimenti non la frequenterei più, se pensassi che son
tutti così), ma in generale, tra persone che conosco, persone che sono state
mie amiche, conoscenti, persone a cui volevo bene, persone di cui mi fidavo, persone
che in teoria la pensavano come me (e viceversa).
Ho
letto e sentito molti commenti e analisi della sconfitta alle primarie. Tutti
molto condivisibili. Peccato che si dicano e scrivano cose che erano già chiare
a febbraio prima e ad aprile poi: cose che infatti, dopo la debacle elettorale,
sono state effettivamente dette e scritte. Il problema è questo: perché se a
Febbraio avevi capito il problema, hai fatto finta di nulla fino a perdere le
primarie e a ripetere le stesse cose a Dicembre? In un anno di tempo hai forse
dimenticato tutto? Hai forse fatto finta di nulla? E ora ripeti le stesse cose,
le stesse analisi, dimostri di aver ben capito il problema: bene, bravo, bis.
Ma lo avevi capito anche a Febbraio. Cosa hai fatto fino ad ora? Hai preferito
aggregarti alla rassicurante corrente? Beh, ora la tua corrente non conta più
una sega. E ora che fai? Sono buoni tutti a dire dove si è sbagliato. DOPO. Ma
prima? Voi (“voi” o “tu”, chi sa sa) che eravate dalla parte del cambiamento, voi
che dicevate “Voglio sapere chi sarà
appoggiato dall’attuale gruppo comunicazione del PD, al prossimo congresso,
così non lo voto” (lo diceste, lo ripetevate, me lo ricordo), perché poi avete
votato per loro, al congresso? Perché avete votato per la conservazione? Magari
arrabbiandovi pure con quelli che non votavano Cuperlo. Se permettete mi
arrabbio io, che vedo incoerenza, che ho la conferma ulteriore che faccio bene
a non fidarmi di nessuno, men che meno di “voi”, almeno fino a prova contraria.
No?
E
ora sono contento? Volevo tanto avere la mia rivalsa, volevo tanto vendicarmi,
volevo vedere soffrire quelli che da aprile in poi hanno fatto soffrire me,
volevo vederli perdere le speranze nel futuro e nella propria sopravvivenza
politica, come loro avevano fatto perdere a me la speranza nel futuro e nella
politica. Ce l’ho fatta, sono riuscito a vivere fino a questo momento. Lo so, è
una cosa meschina, astiosa, poco coerente col “distacco” di cui parlavo prima.
Ma ne avevo bisogno. Mi sento meglio, ora? Cosa mi ha dato tutto ciò? Niente. Andava
fatto lo stesso, ma niente. L’unica cosa che poteva darmi gioia era la
consapevolezza che io avevo ragione e che loro erano nel torto, ma questo già
lo sapevo. L’altra era vederli finalmente ammettere una volta per tutte i loro
errori e reagire, ma non mi pare che questo stia accadendo. Anzi, vedo un
ulteriore arroccarsi in se stessi, in un Aventino identitario e ancora più
spocchioso e arrogante. Vedo i “geni della politica” restare convinti della
propria genialità. Quindi niente. Posso solo godere dello schiaffone che hanno
preso, di ogni loro sconfitta futura, perché è solo questo che meritano. Questi
sono persone che danneggiano anche le giuste battaglie che portano avanti,
quando lo fanno. Finché saranno loro i principali referenti di quelle battaglie
non faremo un passo avanti: dovremo scippargliele. E presto.
E
il lato propositivo? Non ogni storia ha un lieto fine. Non sempre chi vuole la
distruzione deve per forza cercare un’alternativa o un lato propositivo. Non
posso fare tutto io, non posso fare tutto da solo. Tutto era preferibile alla
situazione attuale: qualsiasi cosa. Bruciasse tutto. Muoia Sansone con tutti i
Filistei. Io le idee ce le ho ben chiare: per quanto possa essere più cinico e
smaliziato, sono la stessa persona che nel 2009 applaudiva Bersani al Teatro
Ambra Jovinelli. Ho posizioni più sfumate in alcuni casi, forse, più ragionate
in altri, più aspre in altri ancora, un po’ meno ingenue. Ma sono ancora lo
stesso, la penso ancora, grossomodo, allo stesso modo. Sono gli altri che hanno
smesso di pensarla così. Sono gli altri che si sono spostati, che in qualche
modo hanno tradito. O forse ero io a non averli capiti bene. Per loro alcune
cose erano più importanti che per me, altre cose erano meno importanti per loro
che per me. Ma io mi sento coerente, tutto sommato. Coerente anche nel mio aver
cambiato idea (e candidato) ogni tanto, sissignori. Altri, sebbene a guardarli
dall’esterno siano sempre stati dalla stessa parte (e nella stessa corrente,
appoggiando le stesse persone), dubito possano dire altrettanto. Anche se lo
diranno: la faccia come il culo di certe persone, si sa, non ha limiti. Dovremo
essere migliori di loro, fare meglio di loro. Fare.
Per
fortuna che subito dopo aprile 2013 c’è stata la campagna per le
Amministrative: mi sono distratto, ho pensato ad altro, a battaglie concrete
sul territorio, a una vittoria agognatissima e dolcissima, al risultato di anni
di lavoro della mia sezione, alla possibilità di cambiare concretamente le cose
dal basso. Al vedere ex amici e compagni tornare a lottare insieme a noi (non
col partito: con noi), anche solo per questa battaglia, perché le nostre idee
evidentemente erano buone, erano giuste. Poi siamo tornati alla situazione di
prima. Perché il circolo ha due velocità: la produzione esterna, quella che fa
lavorare il gruppo (in particolare la giovanile) come un sol uomo, come una
macchina organizzata, un gruppo pieno di idee, di personalità carismatiche e
talentuose…e quella interna, che può riguardare dinamiche di corrente nei
congressi o le lotte per le preferenze, ad es. nelle elezioni regionali (anche
quelle molto legate alle correnti). E lì si arranca, lì c’è il problema. Cosa
voglio? Un partito che sia un comitato elettorale permanente? No, giammai. Ma
ci deve essere una via di mezzo, ci deve essere il modo per mettere insieme il
meglio della produzione esterna e interna della sezione. Un modo per far sì che
lo stesso entusiasmo e le idee che riescono a incidere sulla popolazione
riescano anche a incidere sul partito stesso: e non è coi congressi, non è
legandosi a correnti che spesso non solo non ci aiutano ma anzi ci tarpano le
ali, non è facendo congressi dove si scrivono documenti che nessuno legge,
perché è già tutto deciso dagli appoggi dei signori delle tessere, delle conte
dove spuntano degli iscritti fantasma che fino al momento del congresso nessuno
ha mai visto (e poi si lamentano degli “sconosciuti” che spuntano alle
primarie…che ipocrisia!!!)…non è così che si cambia il partito. Anzi. Quindi ci
vuole un nuovo metodo per cambiare l’interno, tanto quanto noi, piccole realtà
locali e territoriali, riusciamo a cambiare l’esterno. Cambiare il tipo di
tesseramento, cambiare l’organizzazione, far sì che le tessere contino davvero,
trovare la sintesi tra l’apertura all’esterno e la strutturazione interna…e
secondo me il lavoro che sta facendo Fabrizio Barca con il suo viaggio per
l’Italia e il suo documento possono essere positivi, a tal proposito (sperando
di non diventare troppo barcasessuali). Che devo proporre? Un nuovo metodo.
Partendo dal basso. Ma detta così è banale, scontata. Le mie posizioni e
opinioni sono quelle di sempre, bisogna solo trovare ad esse gli interpreti
giusti. Rappresentanti che non siano compromessi. E purtroppo sono sempre di
meno, quindi le opzioni si restringono…bisognerà aspettare ancora diversi anni,
quindi. E soprattutto, si parli di temi, di idee, si proposte, di cose
concrete. Lo si faccia perché ci si crede, non per posizionamento politico.
Lavoriamoci su, studiamo, troviamo una sintesi, facciamolo autonomamente e non
perché qualcuno dall’alto ce lo chiede. Ricostruiamo da capo un partito.
I
miei ultimi pensieri sono per voi, gli unici che potrebbero leggersi fino in
fondo questo pippone.
Cosa
provo per voi, cari amici, cari compagni? Odio? Disprezzo? Rancore? Pena?
Schifo? Affetto? Tenerezza? Rimpianto? Nostalgia? Non lo so. E per chi di voi
lo devo provare? Nel mio circolo, l’ambiente a me più prossimo, di chi mi fido
ancora? Chi ritengo inaffidabile? A volte entro in sezione e sto seduto sul
divano, senza far niente. Magari leggo un libro, fingo di smanettare al
cellulare, e vi fisso. Vi fisso e cerco di capirvi. Cerco di limitarmi alle
cose che posso verificare e toccare con mano, quelle più stupide: ad esempio sì,
mi stai sbroccando perché ho sbagliato carta a tresette, questa è senz’altro
una cosa vera, qui sicuramente non mi stai mentendo, questi sicuramente sono
sentimenti sinceri. Mi aggrappo a questi momenti, questi legami superficiali,
perché sono gli unici attimi in cui posso sentirmi rilassato, posso divertirmi
e fidarmi di ciò che vedo e che sento, come una volta. Guardo costantemente le
vecchie foto: sì, siamo invecchiati e ingrassati e abbiamo perso capelli.
Almeno io. Ma guarda come sorridevamo, guarda come eravamo sereni, guarda come
ci divertivamo. Uh, c’è pure lui! All’epoca non era ancora un nemico. Uh, anche
lei! All’epoca non era ancora una stronza. Cosa ci ha cambiato? La politica.
Così bella, così pericolosa. Crea dipendenza, ma è una droga virtuosa: ti
permette di cambiare le cose, generalmente in meglio. Ti fa sentire parte di un
gruppo di tuoi pari, parte di un qualcosa più grande che va oltre te, parte di
una Storia che viene da lontano e va lontano. Era tutto più semplice, tutto più
bello. A volte rivorrei indietro la mia ingenuità. Tornare a quando ero un
semplice, inconsapevole elettore. Ci sono cose che so, che preferirei non
sapere: vivrei meglio. Indietro non si torna, comunque. Lo dice anche una
vecchia canzone: “Tanto il mondo non si
cambia e siamo tutti specchi fatti per guardarsi e diventare soli e vecchi”…
Ma
finiamo con una nota di speranza: peggio di così non può andare, la situazione
può solo migliorare. Il terribile 2013 è finalmente finito, il 2014 è una
grande incognita: come Renzi. Il Grande Compagno Segretario Generale, l’Onnipotente
Leader, il Luminoso Faro, il Migliore tra i Peggiori, il Supremo Immortale Facciadicazzo
del Sol dell’Avvenire, Matteo “Ipnorospo” Renzi. Il futuro è tuo: tu non piaci
a me, e io, se tu mi conoscessi, non piacerei a te (ma probabilmente in una
serata in discoteca faremmo faville: pensaci). Hai un mandato, però: li vedi
quelli? I Forconi, Berlusconi, il sorrisetto insopportabile del grillino
Alessandro Di Battista? Asfaltali, rottamali, faje piagne er culo, quel che
vuoi. Una cosa alla volta, una priorità alla volta. Ti seguiremo, ti
correggeremo, cercheremo di impedirti di cancellare i diritti dei
lavoratori…tanto ormai sei al vertice, che poi è quel che volevi: rifletti, ora
la sfida più grande è fare, da ex democristiano, quello che gli ex comunisti
non sono riusciti a fare, scavalcandoli da sinistra. Già ci stai facendo
entrare nel PSE, roba che manco il più socialcomunista del PD ha mai cercato
esplicitamente di fare. Quindi non c’è bisogno di fare l’ultraliberista spinto,
no? E intanto noi ci prepareremo, cercheremo di avere la forza e il coraggio
che ebbe D’Alema quando rottamò Natta, che avesti tu quando rottamasti D’Alema,
la forza e il coraggio che dovremo avere noi per rottamare te. A ricostruire la
sinistra ci penseremo noi, al prossimo congresso. Se c’arriviamo vivi. Mortacci
del PD, viva il PD.
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