"Non era una folla, non era un'indistinta marea, erano persone che pur nella loro diversità anagrafica e sociale avevano alcuni tratti comuni: la compostezza, la maturità degli atteggiamenti, la tranquilla ma ferma decisione di difendere una causa giusta, in nome proprio e in nome di tutto un paese: la causa della democrazia contro la violenza, della certezza dei diritti contro l'arbitrio, della libera eguaglianza contro il privilegio. Per questo non era una folla quella accorsa da tutta Italia alla chiamata del sindacato, ma un soggetto sociale e politico.
Conta poco la gaffe del segretario della Cisl quando ha sentenziato: "È una manifestazione di parte". Poteva risparmiarsela Pezzotta questa invidiosa battuta poiché è stata la manifestazione di una parte del sindacato, di una parte dei lavoratori e della sinistra italiana, ma una parte rappresentativa anche di chi fisicamente non c'era ma era lì con la mente e con il cuore, anche i lavoratori della Cisl erano lì senza bisogno che ce li portasse per mano il loro segretario
Di solito ci si commuove quando tante persone si riuniscono per sostenere tutte insieme una visione del bene comune. L'etica tocca le corde del cuore e il bene comune è un fatto etico molto prima che politico. E c'era, la si vedeva su quei volti di giovani e di anziani, una commozione diffusa."
Martedì intanto il presidente del Consiglio incontrerà di nuovo le parti sociali "per parlare di tutto" ribadendo però che sull'articolo 18 il governo non cederà di un millimetro. Come mai tanta rigidità? Dicono gli esperti: perché è diventata una questione simbolo, perché si deve pagare la cambiale alla Confindustria e questa è la prima rata, perché nel governo adesso volano i falchi.
Sarà certamente così, ma di ragione ce n'è anche un'altra assai più corposa: tutte le altre misure proposte dal professor Biagi e dagli altri consulenti del governo costano soldi, molti soldi. La sola decontribuzione costa 6 mila miliardi di euro; il salario sociale varrebbe a dir poco 40 mila miliardi di vecchie lire e così via. E chi glieli dà questi soldi al povero Tremonti che è anche in ritardo con la diminuzione delle tasse che stanno anzi addirittura aumentando? C'è una sola riforma (è vero governatore Fazio?) che non costa assolutamente niente ed è quella dell'articolo 18. Quella brucerà soltanto sulla pelle dei lavoratori colpiti. E in fondo in fondo di loro chi se ne frega?"
Eh, sì, gente: questo è proprio Eugenio Scalfari, dieci anni fa. Sì, lo stesso che ora dice "I simboli sono pericolosi, provocano guerre mondiali e genocidi."
Chissà cosa ne pensano, quelli che ora twittano e condividono entusiasti i suoi articoli, ove si usano gli stessi trucchi e artifici retorici dai quali lui metteva in guardia nel 2002: farla passare come la lotta minoritaria di un solo sindacato per la difesa dei suoi privilegi, farla passare come una battaglia di parte della sola CGIL, una guerra di retroguardia, di conservazione. Chissà cosa direbbero della critica verso la posizione irremovibile del governo di allora desideroso di bypassare le parti sociali, sull'allusione del favore a Confindustria, sul fatto che il riuscire a scardinare l'articolo 18 sia un trofeo da esibire e l'unico, vero simbolo.
Chissà che ne pensa lui stesso, ora.
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